Per salvare il pianeta dobbiamo cambiare il modo in cui produciamo il nostro cibo, altrimenti eventi meteorologici estremi amplificati dal global warming aumenteranno la carestia. Finora all’appello mancava l’agricoltura, ma dopo la pubblicazione giovedì del rapporto dell’Ipcc (gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici) i governi dovranno aggiornare i piani di azione e riformare l’attuale sistema alimentare per cercare di mantenere l’innalzamento delle temperature globali sotto i 2 gradi dai livelli preindustriali (obiettivo minimo dell’Accordo di Parigi). Gli effetti del global warming sono, purtroppo, ben noti: piogge violenti e alluvioni, degrado del permafrost, colossali incendi come quelli visti in Siberia, ondate di caldo abnorme e siccità; e con l’ulteriore innalzamento delle temperature medie, i fenomeni aumenteranno di frequenza e di intensità.
Il documento dal comitato scientifico dell’Onu sul clima, intitolato “Climate Change and Land”, non lascia margini. Ogni tentativo di contrastare la crisi climatica tagliando le emissioni unicamente nel settore dei trasporti, nei processi manifatturieri e nella generazione elettrica è condannato a fallire. I 107 esperti internazionali originari, per la prima volta nella storia dell’attività dell’organismo, per oltre il 50% da paesi in via di sviluppo, hanno studiato nella loro complessa interazione i cambiamenti climatici e il territorio e sono perentori: bisogna intervenire anche sulle modalità con cui si produce il cibo e sullo sfruttamento del suolo.
Del pianeta viene impiegato il 72% della superficie libera da ghiacci per cibare, coprire, riscaldare e sostenere i 7,7 miliardi di abitanti. La terra è una risorsa critica. La conversione di suolo per le coltivazioni industriali, per l’allevamento intensivo, per la coltivazione di biomasse, rappresentano il 23% del totale delle emissioni umane di gas a effetto serra. Al contempo, nel (dis)quilibrio globale del carbonio, le foreste sopravvissute alla deforestazione assorbono circa un terzo della CO2 emessa dalle fonti fossili e dai processi industriali. Eventi atmosferici violenti sempre più frequenti mettono a repentaglio la sicurezza della fornitura alimentare.
Più vulnerabili ovviamente sono le regioni tropicali e subtropicali dove si calcola che mezzo miliardo di persone vivono in zone a elevato rischio di desertificazione. Ma anche il Mediterraneo e le zone temperate risultano esposte al rischio siccità e incendi. Anche gli eventi di segno opposto, come precipitazioni intense e alluvioni, producono un effetto a catena tra erosione e impoverimento del suolo e clima. Il degrado del suolo è un circolo vizioso: il terreno diventa meno produttivo, si restringe la varietà di coltivazioni possibili, si riduce la sua capacità di assorbire carbonio con l’effetto di intensificare il cambiamento climatico il quale a sua volta, accelera il deterioramento del suolo. Le conseguenze socio-politiche sono un crescendo di guerre e di migrazioni.
Un sistema resiliente di produzione agricola richiede la gestione sostenibile delle foreste, quella responsabile del carbonio organico nel suolo attraverso il ripristino di zone di torba, la conservazione degli ecosistemi e il recupero del territorio, la riduzione dello spreco di cibo. A questo proposito il rapporto invita i governi a focalizzare l’attenzione sulla sicurezza alimentare minacciata dal cambiamento climatico a quattro livelli: raccolti in calo, ridotto apporto nutritivo, aumento dei prezzi delle derrate e improvvise interruzioni nella filiera di approvvigionamento.
In particolare sull’ultimo punto, va ricordato che un terzo di tutto il cibo prodotto per il consumo umano viene sprecato o perduto per cause diverse a seconda del grado di sviluppo delle economie. Già solo rimediare a questo scempio aiuterebbe a contenere le emissioni e ad aumentare la sicurezza alimentare. Senza citarla espressamente, il documento lascia intendere che una dieta sbilanciata sul consumo di proteine animali ha delle ripercussioni importanti nel consumo di suolo. Negli ultimi 60 anni il consumo di carne è più che raddoppiato e ciò comporta la conversione di suolo a uso agricolo a un ritmo senza precedenti.
Infine, riportiamo un set di numeri che da soli racchiudono il paradosso della nostra civiltà: 820 milioni di persone sono denutrite (in crescita rispetto ai 811 milioni dell’anno scorso); due miliardi di abitanti sono vittime di moderata o elevata insicurezza alimentare che colpisce anche le economie evolute, circa l’8% della popolazione dell’Europa e del Nord America, mentre altrettante risultano sovrappeso od obese.