Rapporto padre-figlio, l’analisi di Recalcati

Il mito di Telemaco, figlio di Ulisse, e il suo rapporto con il padre, nell’ultimo libro di Massimo Recalcati, psicoanalista e saggista, “Il lapsus della lettura. Leggere i libri degli altri”. Come analizza La Stampa, lo stile è ricco di suggestioni. Numerosi sono gli argomenti che affronta lo scrittore e che vanno dall’attuale culto narcisistico dell’Io, che esalta l’ego, fino allo smascheramento dell’ideologia del benessere e della religione di un corpo perfetto. Il tutto, passando per l’industria farmaceutica in cerca di nuovi acquirenti per psicofarmaci e antidepressivi.



Parlando del testimone tra generazioni, si oscilla tra l’accettazione dell’autoritarismo e della tradizione patriarcale, con la figura del padre-padrone, dominatore, che sfugge alla legge con traumi, al tramonto dell’immagine paterna nell’epoca post-moderna. Attraverso la figura di Telemaco, lo psicoanalista propone una versione più attuale della figura paterna, ossia quella del “padre-testimone”.



Da Telemaco a Pasolini

Il “padre-testimone” di Massimo Recalcati è una figura che non impartisce ai figli nessuno schema precostituito ma suggerisce, attraverso la propria esistenza, che la vita si può amare malgrado la fragilità e le contraddizioni. I figli, oggi, devono avere come modello Telemaco, ossia essere capaci di emanciparsi dalla rivalità rappresentata nel complesso di Edipo, riuscendo a superare il rifiuto paterno. Viene poi fatto l’esempio di Pasolini, che non era accondiscendente con i sessantottini, considerandoli come fotocopie mal riuscite dei borghesi.

I padri già nella letteratura pasoliniana si presentano dunque come privi di autorità e autorevolezza, esponenti di un fallimento e smarrimento. Per questo Pasolini invitava i figli ad abbandonare la contestazione. Oggi il padre-eroe, portatore di modelli ideali, non è più coinvolgente come lo era nel Novecento. Attualmente abbiamo bisogno, anche in politica, di un genitore capace di assumersi le proprie responsabilità senza autoritarismo e senza rivendicare la proprietà dei figli, sottolinea La Stampa.