Nelle scorse settimane è uscito il rapporto annuale della Caritas sulla povertà in Italia, che racconta di una situazione preoccupante nell’intera Penisola. Come detto nel rapporto, ormai la povertà sta diventando sempre più un fenomeno strutturale dal quale è difficile uscire e che riguarda, nel 2022, 5,6 milioni di persone, pari a quasi il 10% degli abitanti (9,7%), in aumento rispetto al 2021, quando la percentuale di abitanti era del 9,1%. I dati mostrano come il fenomeno sia in aumento in tutte le macroaree italiane, nonostante abbia una concentrazione diversa: al Sud c’è il dato più alto della triste classifica riguardante la povertà assoluta. Un altro dato sconcertante riguarda quello degli stranieri: pur rappresentando solo l’8,7% della popolazione residente, essi sono il 30% dei poveri assoluti.



Analizzando questi dati emerge inoltre che le famiglie in povertà assoluta sono 2 milioni 187mila, e di queste il 47% ha almeno il capofamiglia con un’occupazione: la mancanza di lavoro, per quasi la metà delle famiglie, non è il problema principale, piuttosto è l’esistenza del lavoro povero. Non può non essere citato il dato riguardante i soli minori: 1 milione 270mila di questi è colpito dalla povertà assoluta. Oltre a presentare una correlazione tra povertà e istruzione, è interessante notare come il rapporto evidenzi il calo della dispersione scolastica, anche se questa rimane più alta della media europea.



Da questi brevi dati, spiegati dettagliatamente nel rapporto citato, si possono iniziare a vedere alcuni problemi di varia natura.

Il primo riguarda il dato sulla povertà per quanto riguarda gli stranieri in Italia: è chiaro che, a fronte di un’emergenza umanitaria (l’immigrazione) divenuta anch’essa strutturale, non si è ancora trovato un modello d’integrazione che permetta agli stessi di vivere una vita dignitosa. A questa vicenda si intreccia il mercato del lavoro, in una duplice accezione, in primo luogo per quanto riguarda l’occupazione dei disoccupati, secondariamente per quanto concerne il lavoro povero.



La povertà si combatte con il lavoro, cioè con misure che permettano alle persone di trovare un lavoro: questo è un fattore che a sua volta ha un grande impatto sul benessere psicologico (oltre che fisico) delle persone, se è vero che il lavoro dà dignità. Inoltre, il lavoro non solo è fonte di integrazione ma, togliendo le persone da una condizione di povertà, finisce per diminuire le tensioni sociali che, inevitabilmente, un contesto come quello descritto non può che alimentare. Oltre che sul lavoro è per questo importante insistere anche su misure di sostegno ai poveri che non siano solo dei sussidi (come è stato il Reddito di cittadinanza), ma che colleghino le persone al mondo del lavoro, come lo stesso reddito non è stato in grado di fare e che invece Caritas continua a fare ad esempio a Milano con il Fondo Diamo Lavoro, ex Fondo Famiglia e Lavoro. Eliminato il Reddito di cittadinanza, è importante che le nuove misure siano funzionali a ostacolare questa piaga sociale e che allo stesso tempo non alimentino anch’esse una dipendenza dei poveri dai sussidi statali.

Allo stesso tempo è essenziale che altre misure vengano al più presto cambiate, come ad esempio la fine del mercato tutelato per luce e gas: nonostante questo fosse un punto del Pnrr (ereditato dai Governi precedenti), serve urgentemente correre ai ripari. Basta leggere il rapporto per capire che togliere da questo mercato 15 milioni di famiglie non è una buona idea.

Tornando al lavoro, il secondo punto riguarda invece la tematica del lavoro povero, cioè di quel lavoro sottopagato e che non consente alle famiglie di uscire dalla povertà: al di là della battaglia, a tratti ideologica, sul salario minimo (che richiederebbe una discussione a parte), la situazione è molto più complessa e richiede, tra le tante soluzioni, anche politiche capaci di contrastare gli effetti inflattivi internazionali (che non causano certo il fenomeno ma lo aggravano), oltre che di individuare ed eliminare, laddove possibile, queste situazioni.

Un ulteriore elemento di riflessione riguarda le cause della povertà: tra queste al secondo posto c’è il fatto di aver messo al mondo un figlio. Per questo motivo, come spesso evidenziato, serve implementare politiche familiari strutturate non solo per quanto riguarda l’aspetto economico (quoziente familiare, assegno unico, taglio del cuneo fiscale), ma anche per quanto riguarda i servizi.

Il sostegno alle famiglie, le politiche sul lavoro, la lotta contro l’inflazione, la creazione di strumenti che mettano in contatto lavoratori e imprese sono solo alcuni dei tanti strumenti da mettere in campo per arginare un fenomeno sempre più grave.

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