Uno degli elementi di maggior pregio del Rapporto Svimez del 2024 è quello di aver colto, con i suoi dati, l’esistenza di un evidente limite alla crescita del Mezzogiorno. Un limite che può essere sintetizzato in una carenza di qualità del sistema produttivo ed economico, che impedisce la costruzione di una solida struttura economica e sociale.



Pur in presenza di diverse eccellenze territoriali localizzate prevalentemente in territori che hanno raccolto la sfida di rendersi punti di riferimento in settori ad alto valore aggiunto (dall’aerospazio all’agroalimentare), la massa degli operatori economici che operano su quel territorio sono estranei a filiere trainanti e di qualità e pertanto fanno estrema fatica a creare valore aggiunto di proporzioni tali da imprimere una reale svolta nella crescita di tutto il Mezzogiorno. Infatti, sebbene i dati rappresentino, nel primo semestre del 2023, che l’occupazione è cresciuta del 2% a livello nazionale, con un incremento maggiore nel Mezzogiorno (+2,4%) rispetto al Centro-Nord (+1,8%) e che un confronto rispetto al periodo pre-pandemia mostra un incremento al Sud di 188mila occupati (+3,1%), superiore a quello del Centro-Nord (+219mila, pari a +1,3%), la natura non qualitativamente positiva di questo tipo di occupazione deve far riflettere. Tra il 2007 e il 2022, il valore aggiunto industriale nel Sud è diminuito del 30%, rispetto al calo del 5,2% nel Centro-Nord. A livello europeo, nello stesso periodo, il valore aggiunto industriale è cresciuto del 14% (16% in Germania).



Il settore trainante per la ripresa economica del Sud è stato soprattutto quello dei servizi e dalle costruzioni con un contributo dell’industria molto limitato (10% rispetto al 24,5% nel Centro-Nord). Nel Mezzogiorno poche imprese operano in settori ad alto valore aggiunto, come energia e ambiente (13%), agroalimentare (10%), chimica verde, aerospazio e “Made in Italy” e pertanto il livello della retribuzione offerta ai dipendenti così come, in generale, del valore prodotto sono fortemente compressi dalla carenza di un sistema produttivo di alta qualità e dalla presenza invece di una diffusa attività lavorativa a basso valore aggiunto.



Le cause di questa carenza sono da rintracciarsi in un periodo di mancati investimenti pluridecennali da parte del tradizionale investitore principale, lo Stato, e dalla presenza di scarsi o spesso inefficaci incentivi alla localizzazione di imprese di grande impatto tecnologico e di know-how innovativo nel Mezzogiorno. Dal 2012 al 2022, i Contratti di Sviluppo hanno finanziato progetti nel Sud per 4,5 miliardi di euro, generando 12,3 miliardi di investimenti. Tuttavia, rimangono 51,6 miliardi di investimenti potenzialmente attivabili se tutte le richieste venissero approvate. Il che si traduce in una dotazione di circa 450 milioni di euro l’anno di investimento per una popolazione di oltre 20 milioni di abitanti.

È evidente che la massa di denaro messa a disposizione non ha alcuna possibilità di innescare processi di crescita economica su larga scala. Basti ricordare, come esempio di scuola, che la riunificazione della Germania ha comportato (a metà anni 90 del secolo scorso) ingenti investimenti da parte della Germania Ovest per integrare economicamente e socialmente la Germania Est. Le stime sul costo totale variano tra 1.500 e 2.000 miliardi di euro. Cifre che hanno consentito di portare a un identico livello di crescita economica aree profondamente diverse dal punto di vista economico, con una politica di riallineamento del tenore di vita dei cittadini residenti in contesti economici e sociali diversi. Il tutto solo perché fortemente voluto dalla politica dell’epoca. I vantaggi sono stati enormi poiché hanno creato un mercato interno più ricco e soprattutto hanno consentito di indirizzare lo sviluppo delle aree verso i settori industriali che in quella fase apparivano di maggior pregio e di maggior interesse.

La risposta italiana come politiche di coesione è stata l’istituzione di una nuova Zes unica per il Mezzogiorno, in vigore dal 2024, che offrirà vantaggi fiscali e procedure semplificate per attrarre investimenti e incentivare le imprese. Oltre ai 3,2 miliardi di euro immediatamente disponibili, potranno essere impiegati fino a 4,2 miliardi di euro provenienti dai programmi nazionali e regionali finanziati con i fondi della politica di coesione europea 2021-2027. Questi fondi, pur soggetti a condizionalità, potranno essere utilizzati per sostenere investimenti agevolati.

Queste cifre sono semplicemente una goccia rispetto a quanto servirebbe per rimettere in moto lo sviluppo del territorio e indirizzarlo verso una crescita dei settori industriali strategici e dare un efficace impulso all’economia “di qualità” che, solo essa, può dare un futuro diverso al Mezzogiorno. Diversamente il Mezzogiorno, con l’attuale ritmo, continuerà a restare in una condizione di difficoltà economica e sociale per un altro lungo e difficile periodo.

(2 – continua)

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