Non si tratta di un pamphlet vista la sua corposità, ma, allo stesso modo, può e deve essere interpretato come una pagella senza, però, alcun voto finale poiché sostituito da una serie di utili giudizi e considerazioni che, nel loro insieme, facilitano una conclusione. In questo caso potremmo dire positiva.
Ci stiamo riferendo al Rapporto sulla politica di bilancio dell’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) diffuso mercoledì che, presentandosi attraverso una mastodontica forma (ben 434 pagine), sembra (parer nostro), fin troppo sintetizzato nella successiva cronaca diffusa al pubblico. Leggendo alcuni stralci, infatti, gli elementi riportati potrebbero rappresentare una irrisoria manciata di conclusioni (per lo più negative) che, probabilmente, “colpa” la tecnicalità degli argomenti affrontati, ha imposto una semplicistica rappresentazione. Nello specifico, però, approfondendo l’intero documento e il corollario comprendente sia la Sintesi che La relazione della Presidente dell’Upb, il complessivo rapporto appare molto più approcciabile.
Riprendendo alcuni estratti da quanto illustrato dalla Presidente, Lilia Cavallari, si può facilmente comprendere la funzione di questa importate istituzione che, quest’anno, potrà soffiare sulla sua decima candelina: «In questo anno ricorre il decennale dell’Ufficio parlamentare di bilancio, istituito nel 2014 in risposta all’esigenza di rafforzare le istituzioni di bilancio in Europa dopo una stagione di forti turbolenze, iniziata con la crisi finanziaria globale e culminata con la crisi dei debiti sovrani. L’attività dell’Ufficio parlamentare di bilancio in questi dieci anni e il ruolo che esso è chiamato a svolgere nel nuovo quadro di regole europee forniscono l’occasione per allungare lo sguardo in retrospettiva sulle tendenze di fondo che hanno caratterizzato la finanza pubblica in questi anni e in prospettiva sulle sfide che per essa si profilano nel medio termine».
E proprio guardando a quest’ultimo binomio “in retrospettiva-in prospettiva” emerge l’elemento destabilizzante che, di fatto, ha certamente contribuito a minare i futuri lavori dei prossimi Governi (non solo dell’attuale). Di nuovo, qui, riprese, le parole della Presidente dell’Upb, Lilia Cavallari: «Il 2023 si è concluso con un disavanzo superiore alle attese per oltre due punti percentuali di Pil, a causa principalmente dell’assorbimento di risorse da parte dei bonus edilizi. Al netto di tali impatti e del maggiore onere per la misura agevolativa Transizione 4.0 il disavanzo sarebbe risultato di qualche decimo di punto inferiore all’obiettivo programmatico della Nadef 2023. Il Superbonus ha avuto un impatto macroscopico e crescente sulla finanza pubblica». C’è poco da aggiungere (parer nostro).
A questo evidente «sguardo in retrospettiva» viene poi contrapposto «in prospettiva» quale potrà essere un potenziale scenario: «La necessità di programmare il consolidamento su un orizzonte pluriennale limiterà negli anni a venire la possibilità di finanziare interventi in disavanzo. Occorrerà ottimizzare l’uso di risorse scarse. Sarà necessario a tal fine rafforzare l’efficienza della spesa e delle spese fiscali sulla base di solide analisi di valutazione della loro efficacia». E, infine, eccola: «La politica di bilancio italiana ha di fronte un percorso di risanamento volto a ridurre il peso di un debito pubblico elevato che costituisce un fattore di vulnerabilità per l’economia del Paese, oltre a sottrarre risorse a impieghi produttivi e socialmente utili».
È vero, ne siamo consapevoli, considerando quanto riportato non vi è nulla di positivo rispetto al nostro iniziale giudizio, ma, come detto, è necessario estendere l’analisi all’intero documento. Attingendo alla Sintesi e alle sue prime pagine le buone notizie giungono immediatamente: «L’economia italiana lo scorso anno è ancora cresciuta più dell’area dell’euro. Il Pil dell’Italia ha decelerato allo 0,9 per cento, un ritmo comunque superiore sia a quello del ventennio pre-pandemia sia a quello registrato nell’area dell’euro (per il terzo anno consecutivo)».
Passando, ora, alle cosiddette “Previsioni macroeconomiche”: «Le previsioni del Governo sul quadro macroeconomico sono ritenute adeguate, ma scontano un forte recupero degli scambi globali». Nonostante quest’ultima inefficienza, comunque, «l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) ha validato lo scenario macroeconomico tendenziale del Def 2024, sottolineando però i numerosi rischi».
Un aspetto certamente condivisibile che, sempre lo stesso Upb, «segnala rischi nel complesso bilanciati nel breve periodo, ma nel medio termine orientati prevalentemente al ribasso». Passando alle proiezioni, anche su questo dossier il giudizio può essere considerato soddisfacente (parer nostro): «Le proiezioni macroeconomiche dell’Upb non si discostano significativamente da quelle del Governo, ma sono un po’ più caute».
Una nota incolore? Se proprio necessaria, a voi: «L’ottimismo delle previsioni del Governo si è molto attenuato nel decennio scorso, dall’istituzione dell’Upb. Dalla costituzione dell’Upb, nel 2014, l’ottimismo delle previsioni governative, sul Pil reale e nominale, si è molto attenuato ed è stato mediamente simile a quello di altre istituzioni, quali l’Upb e la Commissione europea». Alla base di tutto questo, però, c’è anche una motivazione sostanziale così riportata da Upb: «Tuttavia, la crisi da Covid ha indotto oscillazioni mai osservate prima sulle variabili economiche, per cui la dimensione media degli errori di previsione è cresciuta per tutti i previsori, incluso il Mef». Sommariamente, potremmo considerarlo “il caso” dell’ultimo decennio e, pertanto, non la normalità (altro parer nostro).
Oggettivamente, l’insieme di questi rilievi, promuovono la bontà operativa del Governo a guida Meloni. Resta, però, una nota che, coerentemente alla logica «in prospettiva» adottata da Upb potrebbe impattare sulle prossime mosse dell’Esecutivo in carica: «Qualora nel Psb venissero confermati obiettivi in linea con le attuali previsioni a legislazione vigente sarà necessario individuare nella prossima manovra di bilancio idonee coperture per le politiche invariate che si deciderà di attuare e per eventuali nuovi interventi. Secondo stime dell’Upb, la conferma nel 2025 di alcuni degli interventi finanziati solo per l’anno in corso dall’ultima manovra di bilancio impatterebbe sull’indebitamento netto per circa 18 miliardi. Aggiungendo a tale importo anche altre spese solitamente inserite nelle politiche invariate, quali per esempio gli oneri per il prossimo triennio contrattuale dei dipendenti pubblici (2025-27), l’impatto complessivo sull’indebitamento netto potrebbe superare quello indicato nel Def (di poco inferiore ai 20 miliardi)».
L’ipotesi di Upb non può essere sottovalutata nonostante sia ancora troppo presto per poter quantificare l’esatto ammontare. Considerando le cifre, i circa 20 miliardi di euro sono effettivamente concreti, ma, oggi, preferiamo soprassedere a questa eventualità preferendo, invece, la realtà (positiva) dei fatti finora conseguiti e consolidati. Da domani, come ovvio, penseremo anche a quelle somme. Ma, solo, da domani (ennesimo parer nostro).
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