Dopo l’approvazione di una Nadef all’insegna della prudenza, lo spread tra Btp e Bund è salito a 200 punti base, mentre il rendimento del Btp decennale ha sfondato la soglia del 5%, un livello che non si vedeva dal 2012. I piccoli risparmiatori non sembrano essere più che tanto preoccupati, vista la richiesta di investire nella seconda emissione del Btp Valore, che ha già superato un controvalore di 15 miliardi di euro. Come spiega l’ex direttore del Sole 24 Ore Guido Gentili, «la Nadef ha in effetti delineato l’impianto di una manovra prudente, come aveva promesso il presidente del Consiglio Meloni e come ha più volte ribadito il ministro dell’Economia Giorgetti. Tuttavia, ci sono delle incognite che riguardano in particolare la crescita e il rapporto debito/Pil, che più che scendere viene “stabilizzato”, dato che secondo il Governo passerà dal 140,2% nel 2023 al 140,1% nel 2024. Ed è vero che i risultati della seconda emissione del Btp Valore appaiono eccellenti, ma va considerato anche il rovescio della medaglia».



A che cosa si riferisce?

Al fatto che lo Stato si deve approvvigionare per rifinanziare il suo debito, non a caso è stato necessario incrementare l’ammontare delle emissioni di quest’anno portandolo oltre i 330 miliardi rispetto ai 310-320 in precedenza stimati. E nella Nadef viene indicato un progressivo aumento della spesa per interessi sul debito, che supererà i 100 miliardi di euro nel 2026.



Il Governo come può evitare che la situazione sul mercato dei titoli di stato italiani si aggravi?

Pochi giorni fa, Larry Fink, Ceo di BlackRock, ha detto che “l’Italia è più forte ora di quanto non fosse un anno fa”. Il numero uno della più grande società di investimento del mondo ha anche aggiunto di aver visto “un Governo più forte di quello che alcuni temevano”. Si tratta di un attestato di credibilità importante e l’Esecutivo deve continuare a rafforzare questa credibilità con una politica prudente in vista della Legge di bilancio, evitando di cadere nella trappola della campagna elettorale permanente, viste anche le richieste importanti arrivate sul tavolo di Giorgetti da parte di tutte le componenti della maggioranza, tenendo la barra dritta sulle riforme e vigilando sull’andamento dell’economia, che è il vero elemento decisivo.



Perché è così decisivo?

Nella Nadef è stata indicata una crescita per il 2024 pari all’1,2%. Si tratta di una grossa scommessa dal momento che secondo altri previsori, sia nazionali che internazionali, non arriveremo all’1%. Per vincerla occorre una piena attuazione del Pnrr, che non sta dando ancora i risultati attesi. Se la crescita dell’Italia fosse effettivamente da zero virgola sarebbero veramente dolori. Non va infatti dimenticato che il 5 ottobre del 2022, dopo aver lasciato qualche giorno prima invariati rating e outlook sul nostro Paese, Moody’s diffuse una nota in cui affermava: “Declasseremmo probabilmente i rating dell’Italia se dovessimo anticipare un significativo indebolimento delle prospettive di crescita di medio termine del Paese a causa della mancata attuazione delle riforme per rafforzare la crescita, comprese quelle delineate nel Piano nazionale di ripresa e resilienza”.

Da allora Moody’s non ha effettuato il downgrade, non ha emesso “warning”, ma ha invece alzato le proprie stime di crescita sull’Italia…

È vero, ma si avvicina il 17 novembre, giorno in cui è atteso da calendario il periodico aggiornamento del rating da parte di Moody’s. Anche Standard & Poor’s e Fitch saranno chiamate a esprimersi nelle prossime settimane, ma solamente nel caso di Moody’s un eventuale downgrade ci porterebbe dall’investment grade allo speculative grade. Non siamo di fronte a un complotto, ma i mercati sono ovviamente in vigile attesa.

Cosa li preoccupa di più?

Non dobbiamo dimenticare che non è facile realizzare privatizzazioni per un punto di Pil, circa 20 miliardi, in tre anni, come ha annunciato Giorgetti, ma quello su cui l’Italia deve fornire maggiori rassicurazioni è la crescita, perché non può permettersi di tornare su un percorso di aumento del debito/Pil, anche per le implicazioni che questo avrebbe nei rapporti con la Commissione europea.

Da questo punto di vista, la Nadef è stata trasmessa a Bruxelles, ma non sono arrivati rilievi particolari…

Sì, ma è più importante la trasmissione, entro il 20 ottobre, della Legge di bilancio. Lì ci saranno tutti i numeri e gli elementi su cui Bruxelles potrà fondare il proprio giudizio. Nel frattempo andrà avanti il negoziato sulla riforma del Patto di stabilità.

Su questo fronte, da qualche giorno c’è sul tavolo una proposta spagnola: può essere la base per arrivare a un accordo sulla riforma entro la fine dell’anno?

Potrebbe in effetti esserlo, ma va evidenziato che se da un lato ci consentirebbe di scomputare alcuni investimenti, come chiede da tempo Giorgetti, sul fronte del debito non bisognerà attendersi particolari sconti, anzi probabilmente verranno chieste maggiori garanzie. L’Italia dovrà, quindi, dimostrare concretezza e impegno forte su questo terreno, perché raggiungere una riduzione del rapporto debito/Pil anche solo dell’1% l’anno non è un compito facile se l’economia non cresce abbastanza.

Sul costo del debito incide anche l’aumento dei tassi operato dalla Bce. Si possono prendere per buone le interpretazioni sulle ultime dichiarazioni della Lagarde, secondo cui siamo arrivati ormai al picco del rialzo dei tassi?

Sì, probabilmente possiamo prenderle per buone e quindi ipotizzare che non ci sarà un’ulteriore e significativa crescita dei tassi di interesse. Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che è ancora attivo il programma di reinvestimento dei titoli di stato giunti a scadenza nell’ambito del programma Pepp, che resta molto importante per l’Italia. Al momento è previsto che duri almeno fino alla fine del 2024, ma si tratta di una decisione che, come già accaduto quest’anno per il programma App, potrebbe essere rivista in senso restrittivo.

(Lorenzo Torrisi)

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