L’intento che anima la proposta di convegno sulla lezione di Benedetto XVI riguardo al rapporto tra fede e ragione è quello di riappropriarsi di un’eredità preziosa, di un bene da non perdere, verificandone il significato e la portata per l’oggi. E questo sui due versanti della vita della Chiesa, ad intra e ad extra.
Le relazioni della mattinata si concentrano sul versante interno della vita della Chiesa per raccogliere due preoccupazioni maggiori che hanno attraversato il magistero pontificio di Ratzinger: mostrare la plausibilità e attualità della figura storica di Gesù di Nazareth, così come emerge dalla narrazione evangelica (nei volumi su Gesù di Nazareth); trovare un metodo di lettura spirituale delle Scritture, capace di riattivare oggi quel dialogo nuziale tra Cristo, Parola di Dio, e la sposa Chiesa, in modo da illuminare, scaldare e confortare il cuore dei credenti (è il senso dell’esortazione post-sinodale Verbum Domini del 2010).
Ciò che impressiona in questi percorsi di studio è constatare quanto Benedetto XVI vivesse di queste relazioni: il rapporto con Gesù come presenza viva da incontrare, una persona che cambia la vita; l’illuminazione derivante dalla meditazione della Parola di Dio, “ruminata” con calma durante le giornate, per ricavarne tutte le intuizioni e mozioni che lo Spirito vuole donare oggi alla sua Chiesa. Basterebbe, a conferma di ciò, rileggere le prime pagine delle Ultime conversazioni con Benedetto XVI edite da Peter Seewald, laddove vengono descritte le giornate del papa emerito nel suo ritiro nel monastero Mater Ecclesiae.
Le relazioni del pomeriggio, invece, approfondiscono il discernimento di Benedetto XVI riguardo al rapporto tra Chiesa e modernità. Si tratta di un ambito delicato, in cui hanno giocato molti pregiudizi a sfavore di Ratzinger, giudicato superficialmente come papa conservatore e arroccato sulla difensiva di fronte alla modernità. Il dibattito con figure di pensatori laici vuole riaprire il dossier, per verificare da vicino i valori in gioco.
L’atteggiamento di Ratzinger nei confronti della cultura moderna è solitamente caratterizzato come polemica nei confronti del relativismo e dello scientismo dominanti. In verità occorre recuperare una geniale intuizione sull’umano e la sua originalità. Ratzinger era convinto, fin dai primi anni di lavoro teologico, che la grandezza della persona umana consistesse nella sua relazione alla verità. L’uomo è fatto per la verità di ciò che è. Ma il rapporto con la verità si gioca nella storia e quindi in un cammino che coinvolge la libertà. Proprio nella sua storia, ogni persona è chiamata a realizzare la sua essenza nella verità ed è interpellata dalla verità stessa a uscire da sé, a compiere un esodo verso un destino più grande, che va oltre la misura della sua esperienza concreta come pure delle varie culture. Dalla chiamata rivolta ad Abramo ad uscire dalla sua terra fino alla risurrezione di Gesù Cristo, che apre orizzonti di esistenza al di là delle barriere della morte, il credente trova la conferma di essere fatto per una verità più grande, per un oltre e un Altro, che dilata la ragione e dona speranza.
È qui che entra in gioco la valutazione della cultura moderna. Le separazioni operate nella modernità tra scienza e coscienza, homo sapiens e homo faber, teoria e prassi, natura e autocoscienza compromettono quel cammino verso la verità intera che dilata l’esperienza umana e la rende capace di accogliere e dare senso a tutto il reale. Eppure l’uomo non rinuncia all’esigenza di “andare oltre”, superando i limiti umani; ma lo fa puntando solo sulla tecnologia e sulla scienza, fino a scadere in forme di “tecnocrazia” in cui dominano ormai l’artificiale o il virtuale. In tal modo affida il suo destino a meccanismi sociali o alle leggi del mercato o alle sole potenzialità della tecnologia, senza garanzie di vera umanizzazione.
Le finalità dello sviluppo dovrebbero impegnare la responsabilità personale più che meccanismi neutri o forze anonime. Un luogo di verifica di tutto questo è il diritto, base portante della cultura europea. Il riconoscimento della inviolabile dignità umana e dei suoi diritti non può essere affidata solo al consenso o alle dinamiche di potere e tantomeno all’utilità comune. Ne deriva l’urgenza di ritrovare la relazione alla verità, a ciò che è, all’ordine oggettivo delle cose. In questo spazio l’uomo trova un ordine affidabile per abitare il mondo, tutelando la sua inviolabile dignità.
Rileggere questa preoccupazione riguardo al nesso verità/ragione/fede quale base insostituibile di ogni cultura e convivenza pienamente umane costituisce la sfida intrigante del Convegno di Villa Cagnola.
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