“Apparentemente il mondo di oggi vive molto lontano da Dio”. Ma dobbiamo chiederci “se dietro alle forze e ai poteri di questo mondo, dietro a tutto quello che in esso c’è di grande, di bello e di terribile non ci sia la forza originaria del divino”.
Così si espresse il futuro Papa, quando era ancora a capo della Congregazione per la dottrina della fede, nell’omelia pronunciata l’8 gennaio 1990 per la festa del Battesimo di Gesù, che chiude il ciclo delle solennità natalizie. “Il desiderio che questa forza, se esiste, si manifesti”, non si cancella dal cuore dell’uomo. Joseph Ratzinger nella stessa predica auspica che la luce del Signore “risplenda nell’oscurità delle nostre domande, perché si possa sapere da dove veniamo e dove andiamo, perché questa luce ci sia di conforto e al tempo stesso di guida”. Questa luce emana dalla stella “che guida i Magi giunti dall’Oriente fino alla mangiatoia di Betlemme”. Ma chi sono i Magi, chi rappresentano, che cosa hanno ancor oggi da insegnarci?
Quando giungono a Gerusalemme è probabile che i Magi siano visti “come personaggi un po’ strani a cui non occorre prestare molta attenzione”, come a Betlemme sembra che non ci sia nessuno “che si curi di questo neonato re dei Giudei”. In realtà questi uomini colti e saggi “provenienti dall’Oriente” sono “i primi della grande processione che da allora non s’interrompe più, che attraverso tutte le epoche riconosce il messaggio della stella”.
Nell’omelia per l’Epifania del 1987, pronunciata nella chiesa di San Pietro e Giovanni Battista di Berchtesgaden, in Baviera, Ratzinger sottolinea che i Magi “non solo si sono messi in cammino, ma da quel loro atto ha avuto inizio qualcosa, è stata tracciata una nuova strada, è scesa sul mondo una nuova luce che non si è più spenta”, una luce che appena cinquant’anni dopo “risplenderà nei centri della cultura classica: ad Atene e a Roma gli uomini si mettono in cammino verso quel Bambino e sono illuminati dalla gioia che egli sa donare”.
Nella predica del 1987 il futuro Benedetto XVI riconosce che “le luci che da noi si accendono a Natale spesso non sanno più niente di quel Bambino e non vogliono saperne niente, servono a fare affari e pubblicità”. Ma tuttavia, “per quanto siano lontane da Lui, sono pur sempre un riflesso di quell’inizio. […] Ancora e sempre da Betlemme si diffonde tra gli uomini uno splendore che porta più luminosità, più pace, più prospettive e più gioia di quanta ne possano dare le ricchezze e il potere di questo mondo”.
Sette anni dopo, nell’omelia per l’Epifania del 1994, nella medesima chiesa bavarese, afferma che “le luci sulla città di Roma e su quasi tutta l’Europa occidentale sono diventate talmente forti che è ormai praticamente impossibile vedere le stelle […] La luce degli uomini – la luce prodotta da noi – nasconde alla vista le luci del cielo. Le nostre luci nascondono le stelle di Dio […] a causa delle troppe cose che abbiamo creato riusciamo a malapena a riconoscere la creazione di Dio e le sue tracce”.
Tornando all’omelia del 1987, Ratzinger ci aiuta a comprendere il senso dei doni posati dai Magi nella mangiatoia. “Hanno portato oro, incenso e mirra. Non si tratta di doni di cui si sente la necessità tutti i giorni. In quel momento la Sacra Famiglia avrebbe sicuramente avuto molto più bisogno di qualcosa di diverso”, ma i doni dei Magi “significano che […] sono un atto di sottomissione”, perché dicono: “Ti accetto come sovrano, sono a tua disposizione, disponi di me”. In pratica i Magi “riconoscono nella Sua autorità il loro percorso e la loro salvezza”. Ne deriva una conseguenza: “Essi non possono più proseguire per la loro strada, non possono più tornare da Erode, non possono più essere alleati di quel sovrano potente e crudele” e rivelare il luogo dove si trova il piccolo Gesù. “Sono stati condotti sulla strada del Bambino […] del Dio che si è fatto bambino, la strada dell’amore che solo può trasformare il mondo, per quanto inerme possa sembrare di fronte alla strada della forza”.
Ma se i Magi hanno seguito la stella, hanno capito e hanno seguito, questo non è vero per tutti. L’ammonimento e il richiamo che vengono da Betlemme lasciano all’uomo la libertà di scegliere. Dall’omelia del 1987: “I credenti in Gesù Cristo sembrano sempre essere pochi nella loro epoca storica”. Per l’allora prefetto dell’ex Sant’Uffizio “molti hanno visto la stella, solo pochi hanno capito il suo messaggio”. Qual è “la ragione per cui alcuni trovano e altri no?” Ratzinger individua tre impedimenti. Primo, “una certa sicurezza di sé e una certa presunzione”, che inducono a formulare “un giudizio definitivo sulle cose e tutto il resto appare stravagante”, al punto che non ci si lascia “sconvolgere nell’intimo dall’avventura di un Dio davvero vivo”. In secondo luogo “un po’ di grettezza e di ristrettezza di vedute: si ha più fiducia in se stessi che in Dio”. Infine “un certo spirito gregario. Cosa direbbero gli altri se di colpo cominciassimo a essere così strani da uscire di casa per andare a Messa?”.
Nell’omelia del 1994 – a partire dall’esperienza dei Magi – trae questa straordinaria conclusione: “Non possiamo fare a meno di vedere nella bellezza del mondo, nel suo mistero, nella sua grandezza e nella sua razionalità la razionalità eterna, e non possiamo fare a meno di lasciarci sempre di nuovo condurre da essa all’unico Dio, creatore del cielo e della terra. Se faremo ciò, constateremo anche che Colui che ha creato il mondo e Colui che è nato a Betlemme e nell’Eucaristia dimora in mezzo a noi, sono lo stesso Dio vivente che ci chiama e ci vuole preparare per la vita eterna”.
Fonte: Joseph Ratzinger/Benedetto XVI, “Sul Natale”, Lindau, Torino 2005
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