Il Documento programmatico di bilancio (Dpb) recentemente approvato dal Consiglio dei ministri definisce le linee guida per la redazione della proposta di Legge di bilancio 2022 che sarà presentata alle Camere nelle prossime settimane. Una manovra espansiva di 23 miliardi di euro aggiuntivi costruita sulla base delle previsioni aggiornate dell’aumento del Pil e della provvisoria sospensione delle regole europee del Patto di stabilità, per rafforzare la ripresa dell’economia nazionale.
La destinazione della nuova spesa viene ripartita per capitoli generali che possiamo riaggregare in tre blocchi prevalenti: 8 miliardi per i sostegni alle imprese, alle attività produttive, 7 miliardi per la riduzione della pressione fiscale aggiuntivi ai 2 miliardi già accantonati nel fondo destinato allo scopo con la precedente Legge di bilancio, 6 miliardi per le politiche del lavoro, le pensioni e il Reddito di cittadinanza.
L’impatto delle risorse aggiuntive deve essere correttamente valutato tenendo conto dei provvedimenti di spesa già deliberati, e delle implicazioni sulle politiche di investimento correlate al decollo del Pnrr finanziate con le nuove risorse europee. Come nel caso del superbonus per le ristrutturazioni residenziali e dell’assegno unico per i figli a carico, previsto dal Family act.
Le proposte contenute nel Dpb sono il frutto di una provvisoria mediazione governativa tra le diverse sensibilità delle forze politiche che sostengono l’esecutivo, sulla base di obiettivi generali che non consentono di valutare nel merito la portata dei provvedimenti e tantomeno degli strumenti legislativi che saranno utilizzati per renderli operativi. Un percorso già utilizzato per la recente approvazione della proposta di legge delega per la riforma fiscale e che consente di diluire nel tempo, o di limitare ai singoli provvedimenti, le tensioni tra i partiti che sostengono la maggioranza. Una lettura del testo finale del Dpb potrebbe fornire ulteriori chiarimenti.
Per la riduzione della pressione fiscale, l’ipotesi prevalente rimane quella di intervenire in prima istanza destinando una parte consistente delle nuove coperture (8 miliardi) alla riduzione del cuneo fiscale sulle retribuzioni, abbassando l’aliquota del 38% sui redditi Irpef tra i 28 mila e i 55 mila euro che hanno usufruito solo in parte del bonus degli 80 euro mensili introdotto dal Governo Renzi, integrato dalle detrazioni fiscali aggiuntive per i redditi fino a 40 mila euro introdotte dal Governo Conte-2. Inoltre, 2 miliardi dovrebbero finanziare l’abrogazione del contributo previdenziale per gli assegni famigliari dei lavoratori dipendenti a carico delle imprese, destinati a essere sostituiti dall’estensione dell’Assegno unico per i figli a carico finanziata dalla fiscalità generale.
I 6 miliardi di euro destinati alla spesa sociale – 3 per la riforma degli ammortizzatori, 1 per il potenziamento dell’indennità di disoccupazione (Naspi), 1 per le pensioni, 1 per il Reddito di cittadinanza – risultano molto al di sotto delle aspettative circolate nei giorni precedenti.
Le risorse dedicate al capitolo della spesa per le pensioni, oggetto di una riserva esplicita della Lega per la mancata risposta alla proroga di Quota 100, devono far fronte a un affollamento di richieste, aggiuntive alla richiesta di mantenere in vigore un regime di pensionamento flessibile anticipato, per l’ampliamento della platea dei lavori usuranti, la proroga dell’Opzione donna, il potenziamento dell’Ape social e dei contratti di espansione finalizzati ad anticipare il pensionamento dei lavoratori anziani disoccupati o coinvolti nei processi di ristrutturazione aziendale.
Il finanziamento aggiuntivo di 1 miliardi per il Reddito di cittadinanza, oggetto di polemiche nei tempi recenti, serve sostanzialmente a mantenere allineata la spesa prevista nel 2022 a quella prevista per l’anno in corso. Una decisione che smentisce nei fatti l’intento, formalmente dichiarato, di voler riformare il provvedimento. Con l’introduzione dell’Assegno unico per i figli a carico per tutte le famiglie fiscalmente incapienti, a partire da quelle che percepiscono il Rdc, una parte consistente degli aiuti alle famiglie povere numerose viene di fatto trasferita su un altro capitolo di spesa. D’altro canto la ripresa economica in atto dovrebbe favorire una parziale riduzione del numero dei richiedenti, che in alcune aree del Paese risulta persino superiore alle stime effettuate dall’Istat. Il controllo preventivo delle domande tramite l’incrocio delle banche dati, propagandato come oggetto di una eventuale riforma del Rdc, è già previsto, ma non attuato, nella legislazione vigente. La promessa di irrigidire le sanzioni per i beneficiari che rifiutano le offerte di lavoro è stata recentemente bocciata dal Parlamento. Alla luce di queste evidenze, la soddisfazione degli esponenti del M5S, che rivendicano di aver salvaguardato l’impianto originale del Rdc, appare più che giustificata.
L’onere per la copertura finanziaria della proposta di riforma degli ammortizzatori sociali avanzata dal ministro del Lavoro Orlando era stato stimato dai tecnici del Mef in circa 10 miliardi per estendere la cassa integrazione (Cig) con i requisiti differenziati a tutte le imprese, a prescindere dai settori e dal numero dei dipendenti, e per aumentare gli importi e la durata delle indennità di disoccupazione. Tra questi venivano compresi gli oneri a carico dello Stato per far partire i fondi di sostegno al reddito per i settori e le aziende privi di copertura delle Cig per i primi tre anni di gestione. I 3 miliardi messi a disposizione nel Dpb per finanziare la riforma possono consentire a malapena di finanziare la fuoriuscita dalle casse integrazioni in deroga. In queste condizioni la possibilità di far sopravvivere la proposta del ministro del Lavoro viene ridotta al lumicino per l’indisponibilità di numerose associazioni imprenditoriali ad autofinanziare l’estensione delle Cig. La scelta di dedicare in modo specifico 1 miliardo per finanziare il potenziamento delle indennità di disoccupazione rappresenta anche un’indicazione di priorità.
L’intento che traspare nel documento approvato è quello di mettere un limite all’espansione della spesa assistenziale nell’ambito di compromessi ragionevoli. Un segnale rivolto alle forze politiche che sostengono il Governo, ma anche agli osservatori esterni che seguono con attenzione il percorso delle riforme avviate.
Mentre scriviamo questo commento, arriva la notizia che nel corso della presentazione del Rapporto economico sull’Italia 2021 presso la Commissione per il Bilancio del Senato, i rappresentanti dell’Ocse hanno evidenziato che l’Italia ha il quinto cuneo fiscale più elevato tra i Paesi sviluppati, con esiti penalizzanti per l’occupazione, e che la nostra spesa per sostenere le pensioni e i costi dell’indebitamento penalizza le giovani generazioni.
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