L’Italia non è Paese per giovani. Così ha scritto Veronica De Romanis su Il Foglio del 30 ottobre sulla base della bozza della Legge di bilancio e soffermandosi sugli aspetti macroeconomici e su alcune voci chiaramente dirette a salvaguardare reddito e capitale delle “pantere grigie”. Ora che il testo del disegno di legge, con i suoi 185 articoli e oltre 200 pagine, è arrivato all’esame del Parlamento con l’età anagrafica più bassa della storia della Repubblica – 44 anni alla Camera e 52 anni al Senato – è utile soffermarsi su alcuni punti particolarmente gravi non solo per strapparsi i capelli, ma per fare proposte che se vogliono, i giovani parlamentari possono recepire presentando congrui emendamenti. Due settori balzano agli occhi: le politiche sociali e del lavoro e la previdenza.
Utile ricordare, come fa Veronica De Romanis, che i giovani hanno affrontato la crisi sanitaria con poco lavoro (nel 2019 il tasso di disoccupazione dei 15-24enni nel 2019 era intorno al 28%, un livello elevatissimo rispetto alla media dell’area dell’euro) e scarsa formazione (i Neet, ossia i giovani senza un’occupazione e un programma di formazione erano al 23%, contro il 12% della media dell’area dell’euro). Erano, quindi, un gruppo fragile da tutelare non solo nel programma vaccinale, ma anche con politiche adeguate da adottarsi non solo durante l’emergenza ma quando dalla crisi si sta per uscire. Ossia ora.
Cosa si prevede in materia di politiche sociali e del lavoro? Una riforma molto blanda di quel “reddito di cittadinanza” (che dopo i risultati di recenti indagini penali alcuni vorrebbero chiamare “rendita da delinquenza”) che pare diventato l’architrave delle politiche e del lavoro anche a ragione delle risorse che assorbe (10 miliardi l’anno solo per i sussidi e un apparato amministrativo della cui esistenza è lecito dubitare dato quello che sta emergendo).
In bella vista, al Capitolo I del disegno di legge viene proposta una riforma del “reddito di cittadinanza” che riforma non è. Viene modificato il numero delle proposte di lavoro che possono essere rifiutate, che passano da tre a due (la prima proposta riferita a un’occupazione lontana non più di 80 chilometri dal luogo di residenza del percettore, mentre la seconda potrà essere collocata ovunque sul territorio italiano, senza più il vincolo dei 250 chilometri). È previsto inoltre che il rifiuto di entrambe faccia perdere il diritto all’aiuto. La domanda, resa dall’interessato all’Inps per sé e tutti i componenti maggiorenni del nucleo, equivale a dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro, ed è trasmessa dall’Inps all’Anpal ai fini dell’inserimento nel sistema informativo unitario delle politiche del lavoro.
La domanda che non contiene la dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro non procede oltre, e in tal caso viene meno la convocazione presso il Centro pubblico per l’impiego dove sottoscrivere il “Patto di servizio personalizzato”. In merito ai progetti utili alla collettività, i sindaci possono impiegare, a titolo gratuito, almeno un terzo dei beneficiari del sussidio ritenuti occupabili in varie attività come la cura del verde pubblico, per 8-16 ore settimanali. Sul piano dei controlli verranno potenziate le verifiche sia da parte dell’Inps – per i requisiti patrimoniali indicati nella dichiarazione sostitutiva unica da chi richiede la prestazione, con particolare attenzione ai beni posseduti all’estero -, sia da parte dei comuni per quanto riguarda le verifiche sostanziali e controlli anagrafici sulla composizione del nucleo familiare dichiarato e sull’effettivo possesso dei requisiti. Ossia aspirina mentre sarebbe stato necessario il tavolo operatorio. E d’urgenza.
In primo luogo, occorre chiedersi perché il Prof. Pasquale Tridico, teorico della misura, non ha ritenuto saggio dare le dimissioni dalla Presidenza dell’Inps. Si è vantato di avere inventato la norma in base alla quale il sussidio sarebbe stato elargito sulla base di una “autodichiarazione” la cui veridicità sarebbe stata controllata ex-post; in tal modo si sarebbe accelerata la lotta alla povertà. Non solo l’autodichiarazione si è mostrata essere una pessima idea, ma occorre chiedersi cose fanno i circa 30.000 dipendenti Inps, di cui gran parte sparsi sul territorio e della cui efficienza ed efficacia il Presidente dell’Istituto ha la responsabilità oggettiva. Vengono accusati (a torto o a ragione) di non avere esercitato la funzione di controllo o di essere conniventi di chi pare abbia truffato lo Stato. Sono interrogativi posti da forze politiche non solo dell’opposizione ma anche della maggioranza (una delle quali sta raccogliendo firme per sopprimere, tramite referendum, il Reddito di cittadinanza). Dimettendosi, Tridico potrebbe difendersi meglio da accuse che – ci auguriamo – vengano provate non vere.
Occorre, poi, chiedersi perché a un’offerta di lavoro anche non sotto casa non si perda completamente il sussidio, come avviene all’estero, invece di restare a Pomigliano D’Arco o a Vibo Valentia a fruire del sussidio (forse ridotto) da integrare con lavoretti al nero alimentando “il sommerso” e l’evasione. Occorre, infine, chiedersi perché i lavori “socialmente utili” per chi è in età e in condizioni di farli (ossia non sia invalido) debbano essere di 8-16 ore la settimana e non di 30: ci sono tante strade da pulire e farlo non solo sarebbe una restituzione del sussidio pagato dai contribuenti, ma anche un incentivo ad andare in formazione e trovare un lavoro migliore. Occorre, infine, chiedersi cosa viene fatto perché dopo le tragicomiche vicende dell'”uomo del Missisipi” vengano riorganizzati Anpal e Centri per l’impiego per offrire un servizio efficace.
Se il cosiddetto “reddito” non produce lavoro, lo stanziamento va solo a ingrassare debito pubblico che dovranno pagare i giovani di oggi e di domani.
Andiamo alla previdenza. Nel Capo II del disegno di legge (pensioni) il Governo mantiene ferma la linea generale del sistema contributivo per garantire la sostenibilità della spesa pensionistica a lungo termine, come previsto dalla legge Fornero, istituendo la c.d. Quota 102 con i requisiti di età anagrafica e di anzianità contributiva determinati rispettivamente in 64 anni e 38 anni per i soggetti che maturano i requisiti nell’anno 2022. Sempre nel Capo II viene inserito l’anticipo pensionistico per i dipendenti delle piccole e medie imprese in situazione di crisi, con l’istituzione nello stato di previsione del ministero dello Sviluppo economico di un fondo con una dotazione pari a 200 milioni di euro per il triennio 2022-2024, destinato a favorire l’uscita anticipata dal lavoro dei lavoratori dipendenti di piccole e medie imprese in crisi, che abbiano raggiunto un’età anagrafica di almeno 62 anni. I criteri, le modalità e le procedure di erogazione delle risorse verranno definite con apposito decreto del ministro per lo Sviluppo economico, di concerto con il ministro dell’Economia e delle finanze e del ministro del Lavoro e delle Politiche sociali.
Viene anche prorogata “Opzione donna” per il 2022, ma pochi si sono accorti che il disegno di legge prevede che a partire dal 1° luglio 2022 l’Inpgi verrà assorbito dall’Inps, e da tale data sono iscritti all’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti dei lavoratori dipendenti, i giornalisti professionisti, pubblicisti e i praticanti titolari di un rapporto di lavoro subordinato di natura giornalistica, nonché, con evidenza contabile separata, i titolari di posizioni assicurative e titolari di trattamenti pensionistici diretti e ai superstiti già iscritti presso la medesima forma.
Comprensibili gli anticipi pensionistici per piccole e medie imprese in crisi. Meno il resto e il trattamento privilegiato per l’Inpgi. Ho già scritto su questa testata che le riforme delle pensioni non si fanno per Legge di bilancio ma per legge ordinamentale. Ho anche delineato quelli che dovrebbero essere gli aspetti fondanti di un sistema che sia sostenibile e assicuri una previdenza pubblica ai giovani di oggi e di domani. Ritocchi particolaristici sono essenzialmente anti-giovani.
Grida vendetta il trattamento per l’Inpgi che penalizza i giovani giornalisti. Per i dettagli si veda l’articolo di Tito Boeri e Roberto Perotti su lavoce.info del 30 ottobre. Vorrei aggiungere un ricordo personale. Nel 1989 ero dirigente generale al ministero del Lavoro e in tale veste nella stanza del Ministro (Rino Formica) quando venne illustrato (con dati e cifre) ai vertici dell’Inpgi che il loro regime non era sostenibile e consigliato che entrassero nell’Inps adottando il metodo contributivo come tutti i lavoratori dipendenti. La risposta fu che il loro Istituto avrebbe sempre avuto una situazione florida grazie alla loro abilità gestionale. Da metà anno prossimo, se l’Inps non fa il buon samaritano e i giovani non si accollano le pensioni da favola dell’Inpgi, l’istituto non potrà più erogare i trattamenti in essere.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI