Le elezioni politiche dello scorso weekend hanno portato a un cambiamento, sebbene ampiamente previsto, nel quadro politico generale europeo. È terminata, infatti, dopo ben 16 anni l’Era Merkel a Berlino ma anche in Europa. La Germania è stata, in questi ultimi decenni, la guida riconosciuta di un’Unione europea chiamata ad affrontare numerose, complesse e anche molto diverse crisi economiche, sociali e, ovviamente, sanitarie.
A provare a gestire questa ingombrante eredità ci proverà, già dalle prossime settimane, il socialdemocratico Olaf Scholz che dal 2018 è stato vice-cancelliere e ministro delle Finanze dell’ultimo Governo Merkel.
Fin qui è il normale, e fisiologico, gioco politico. Altrettanto interessante è provare a capire le politiche che il futuro esecutivo, quando si troverà l’accordo tra le varie forze politiche di un’inedita coalizione a tre, metterà in campo tra continuità e rottura con il recente passato e se queste potranno rappresentare buone pratiche e un modello a cui anche il nostro Paese potrà guardare per un Governo post-Covid e post-Draghi che, inevitabilmente, arriverà.
Un punto centrale della campagna socialdemocratica è stato, ad esempio, l’innalzamento del salario minimo a 12 euro l’ora: un aumento di 2,50 euro rispetto ai 9,50 attuali. Il “Mindestlohn” a 12 euro rappresenta il tentativo della sinistra tedesca per tornare a guardare ai lavoratori a basso reddito, quelli impiegati nei “minijob” e che più di tutti hanno pagato i lockdown per la pandemia.
La proposta spaventa gli imprenditori, ma è, altresì, guardata con favore da una parte degli economisti che la giudicano utile non solo dal punto di vista sociale, ma anche come stimolo per i consumi e, quindi, per la crescita complessiva della Germania.
Nel nostro Paese manca ancora un intervento di questo tipo ma stanno crescendo, come in altre realtà, i cosiddetti “working poors” ossia persone che hanno difficoltà economiche nonostante lavorino. L’introduzione del salario minimo, adattandolo alla realtà italiana, sarebbe, certamente, una misura interessante per il rilancio del lavoro “degno” anche nel nostro Paese. Il dibattito attorno a questa misura sembra però sostanzialmente in “stand-by” e circondato, come troppo spesso accade da noi, da vecchi e, probabilmente, superati pregiudizi ideologici.
Allo stesso tempo Scholz ha promesso di trasformare il sussidio previsto dalla riforma denominata “Hartz IV”, varato dal Governo socialdemocratico di Gerhard Schröder, in un vero e proprio “reddito di cittadinanza”, che mantenga tutti gli stimoli (e gli obblighi) che favoriscono il reinserimento del percettore nel mercato del lavoro, ma che preveda anche qualche allentamento nei controlli.
C’è da auspicare che il dibattito che su questa misura si svilupperà, già nelle prossime settimane, a Berlino aiuti e stimoli quello che, necessariamente, si dovrà avviare a Roma su uno strumento di sostegno per i più deboli che divide, anche nettamente, le varie forze politiche e che, comunque, dovrà essere oggetto di un tagliando che corregga le storture di una politica (attiva?) ancora, per molti aspetti, “sperimentale”.
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