Realiti al centro delle polemiche, arriva il commento del conduttore Enrico Lucci. Intervistato dall’Ansa, l’ex iena ha detto la sua sulla bufera delle ultime ore per le offese volte a Falcone e Borsellino ma non solo: «Preciso subito che io non sono l’autore del programma e non invito nessuno. Io conduco il programma e ci tengo prima a chiarire il contesto. Il programma parla del grande reality in cui siamo tutti immersi e per questo parliamo di tutto. Tra il tutto, c’è anche il fenomeno dei cantanti neomelodici siciliani che cantano in napoletano. C’è stato un servizio in cui è stato raccontato il fenomeno con tutte le sue sbavature, tra cui anche riferimenti ideali alla mafia. Tra i due cantanti che apparivano nel servizio, è venuto in studio questo ‘pischello’ di 19 anni. A me interessa il fenomeno del ‘pischello’, molto seguito dagli adolescenti, che ha per idoli Scarface e Al Capone. Io per prima cosa gli ho fatto dire che non è un mafioso». Prosegue Enrico Lucci: «Tutti parlano di una cosa che non hanno visto. Io mi rivolgo a questo ragazzetto con toni paterni, perché non si massacra un ragazzetto che dichiara di non essere mafioso, anche se ha degli idoli abbastanza orribili e le idee abbastanza confuse. Per questo gli dico:’cerca di schiarirti le idee e studia la storia. Anche se hai lasciato la scuola, studia la storia dei grandi siciliani: La Torre, Mattarella, Impastato, i carabinieri uccisi dalla mafia. E ti esorto a pensare ai due nostri grandi fratelli Falcone e Borsellino. È qui che si vedono le loro immagini e c’è un’esplosione dello studio con un’ovazione per i due giudici. Prima di ogni cosa, io gli dico: ‘la mafia è merda!’. Non c’è margine di dubbio su cosa è stato fatto in studio». E precisa: «Per quanto riguarda la frase su Falcone e Borsellino, io non l’ho neanche capita bene, ma gli ho detto: studia. Non c’è nessun margine di dubbio sulla nostra posizione. Quella frase l’ha detta in un contesto in cui gli abbiamo insegnato la differenza tra il bene e il male. Parliamo di un 19enne che non capisce neanche bene la potenza delle frasi che esprime. Essendo un idolo degli adolescenti, a maggior ragione lo invito, sperando che altri adolescenti capiscano la differenza tra il bene e il male». (Aggiornamento di Massimo Balsamo)



RABBIA DEI FAMILIARI DI PAOLO BORSELLINO

Le offese ai magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, le canzoni dedicate da un neomelodico allo zio detenuto al 41bis e la minaccia al consigliere di Napoli Borrelli: Realiti nella bufera con l’avvio di un’istruttoria in casa Rai. Grande rabbia Vigilanza, ecco le parole del presidente Alberto Barachini: «La grave offesa arrecata alla memoria di due esempi luminosi della lotta alla mafia si configura come un evidente omesso controllo da parte della governance del servizio pubblico, alla quale richiedo formalmente un controllo più rigoroso dei contenuti e degli ospiti delle trasmissioni». Offese, quelle destinate ai due simboli della lotta alla mafia, che hanno mandato su tutte le furie il marito di Lucia Borsellino, figlia di Paolo: «Per ora mi limito a dire vergogna! In famiglia decideremo se tutelarci in altre sedi. Questo Paese è alla deriva ma a tutto c’è un limite! Nessuna volontà censoria. Ognuno è libero di sragionare come vuole. Lo garantisce l’articolo 21 della Costituzione. Trovo però alquanto bizzarro che non ci si sia preoccupati di garantire un contraddittorio. Cosi per spiegare che quegli uomini, per ripristinare la primazia di quelle Istituzioni che riconoscono il diritto di parola anche al neomelodico, hanno operato per puro spirito di servizio e con responsabilità. Con l’unica colpa di non girarsi dall’altra parte. Ecco oggi sta tornando di moda questo ‘girarsi dall’altra parte’ per paura, ignoranza, superficialità eccetera», le parole di Fabio Trizzino a Adnkronos. (Aggiornamento di Massimo Balsamo)



CAOS REALITI: OFFESE A FALCONE E BORSELLINO

Realiti – Siamo tutti protagonisti nella bufera per le offese ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino: la Rai ha avviato un’istruttoria sulla prima puntata del nuovo programma condotto da Enrico Lucci in onda in prima serata su Rai2. A scatenare le polemiche sono state le parole del cantante neomelodico Leonardo Zappalà: il 19enne, in arte Scarface, dopo aver visto un video sui due giudici aveva affermato che «queste persone hanno fatto queste scelte di vita conoscono le conseguenze, come ci piace il dolce ci deve piacere l’amaro». Lucci aveva replicato augurandogli di studiare la storia. Ma non solo: tra gli ospiti del realiti anche Niko Pandetta detto Tritolo, il re del neomelodico catanese e nipote del boss condannato all’ergastolo Turi Cappello. Il Corriere della Sera riporta che secondo Vittorio Di Trapani, segretario dell’Usigrai, la sua trasferta sarebbe stata pagata proprio dall’azienda di Viale Mazzini. E le parole di Pandetta hanno destato scalpore: «Mio zio scrive i testi delle canzoni dal 41 bis, il primo cd l’ho finanziato con una rapina».



REALITI, RAI AVVIA INDAGINE INTERNA

Come riporta Huffington Post, nelle scorse ore la Rai ha diramato una nota per commentare la vicenda: «La Rai ritiene indegne le parole su Giovanni Falcone e Paolo Borsellino pronunciate da due ospiti della puntata di Realiti, andata in onda su Rai2 in diretta. Direttore di Rete, conduttore, autori sono stati ampiamente sensibilizzati sulla necessità di porre la massima attenzione sulla scelta degli ospiti, delle tematiche e sulla modalità di trattazione di argomenti “sensibili”; in coerenza con quanto ogni giorno la Rai testimonia attraverso programmi, eventi speciali e fiction dedicati alla sensibilizzazione della collettività contro la criminalità organizzata e a sostegno della memoria dei tanti martiri delle mafie». Queste, invece, le parole del giornalista Paolo Borrometi: «Il problema è che “personaggetti” del genere non meritano di andare in Rai. Ed è grave che vengano invitati. Così come l’altro suo “collega”, tale Niko Pandetta, che, sempre su Rai2, ci ha spiegato che lo zio ergastolano (boss al carcere duro per mafia), Turi Cappello, scriva le sue canzoni dal carcere. Proprio quel Cappello che ha dato il cognome al clan Cappello di Catania che, secondo i Magistrati, doveva realizzare un attentato con un’autobomba nei miei confronti e nei confronti degli Uomini della mia scorta. Ma è possibile tutto ciò? C’è chi è morto per la Giustizia, c’è chi dovrebbe saltare in aria secondo i piani dei clan. E la Rai cosa fa? Fa parlare chi inneggia ai boss?».