Le modifiche alla riforma Cartabia che il ministro Nordio sta valutando sono un evidente esempio di quanto la gestione del Paese sia estremamente complessa. La difformità dei fenomeni sociali e della loro percezione non è la stessa ovunque ed anzi molti territori hanno un deficit di legalità tale da non poter da soli, con i meri mezzi del civismo impegnato, reagire a condotte che in altri contesti appare semplice affrontare.
Il caso delle minacce ne è ottimo esempio. La condotta in sé, in un contesto ordinato e presidiato, è frutto di uno stato di alterazione personale che spesso fa andare le parole laddove non dovrebbero. Se in un condominio di Bormio qualcuno minaccia un condomino, la querela sarà un atto dovuto solo se se ne percepisce un rischio reale, e spesso la cosa si risolve sul piano civilistico e la querela diventa solo un’arma in più per tutelarsi. Ma se un capozona di Sibari minaccia un commerciante per strada, la faccenda è diversa. In quel contesto, il soggetto che esprime a parole l’intenzione di compiere un atto violento sta di fatto preannunciano un reale intenzione di cui ha pieno controllo e capacità. E quella minaccia, sia ben chiaro, deve rimanere nell’omertà del rapporto per non provocare ben altre conseguenze.
Ora è noto che ormai la criminalità organizzata ha casa ovunque e la minaccia di un capozona di camorra o di mafia può colpire ad ogni latitudine. E questi personaggi sanno bene che le loro minacce pesano enormemente di più di quelle di un condomino infastidito dai rumori alle tre del mattino. Per questo motivo sanno bene che far regredire la minaccia a reato perseguibile a querela significa contare sulla paura del minacciato ed aver una mossa in più prima di commettere un reato che le forze dell’ordine hanno l’obbligo di accertare.
La cosa è inaccettabile. Non perché la Cartabia abbia sbagliato riforma. La scelta di modernizzare i riti, di fare un passo verso un processo penale più costituzionalmente in grado di garantire equità e garanzie è sacrosanta. I processual-penalisti hanno già provato alla fine degli anni 80, con il codice rinnovato di procedura penale, detto non a caso il “codice dei professori”, a superare molte storture. Ma quella riforma fu semplicemente stravolta proprio dalle sentenze della Corte Costituzionale in materia di prova nei reati di mafia. Ci si accorse infatti che un codice così “moderno” lasciava ampi spazi alla criminalità organizzata che poteva gestire professionalmente le sue condotte, ritirandosi nei meandri delle norme per non arrivare mai a delle condanne.
La situazione, ad oltre trent’anni, non è per nulla diversa. La pervasività del crimine organizzato è ancora feroce, le condotte criminali in alcune aree del Paese sono pervase ancora da un vasto senso di omertà e paura, ed anche se tanto si è fatto la battaglia è ancora in corso. Appare pertanto del tutto strumentale voler attaccare la Cartabia per lo sforzo fatto. Molte cose sono sensate e vanno nella direzione giusta. Ma il ministro Nordio è uomo concreto e sa che molto si può migliorare se solo si tiene conto che il Paese in alcune aree è bisognoso di una presenza forte e pervasiva degli inquirenti e che i cittadini vanno tutelati da comportamenti che non possono essere ridotti a meri reati bagatellari. La minaccia fatta da un camorrista è un crimine grave e violentissimo che deve portare subito ad una reazione forte dello Stato e non essere lasciato al coraggio dei cittadini.
Non dimentichiamo che le norme sulla mafia nascono propio con questo obiettivo, spezzare il legame tra vittima e carnefice uniti dal terrore che uno incute all’altro. Lo Stato che interviene deve poter agire prescindendo dal temperamento e dalle condizioni familiari del minacciato.
Oltre a ciò Nordio sa che dovrà mettere mano anche ad altri punti e dovrà farlo proprio per garantire allo Stato i mezzi giusti per combattere mafia, camorra e ‘ndrangheta così come il terrorismo. Fenomeni che sono e restano minacce gravi per la democrazia e lo Stato e contro i quali lo Stato ha il dovere di tutelare prima di tutto se stesso. Ogni avanzamento delle garanzie dei cittadini che non sia in contraddizione con questo principio va attuato con forza. A partire dalla limitazione delle notizie sulle indagini, passando per la necessità in molti processi ordinari di sfoltire il lavoro dibattimentale.
Se un cittadino è occasionale indagato della Procura non deve uscirne massacrato nella vita privata e pubblica. Deve pagare solo per colpe accertate. Ma accanto a tanti occasionali indagati ci sono migliaia di abituali criminali professionali noti alle Procure, avvezzi a leggere le riforme, e che delinquono in modo assolutamente seriale e consapevole, spesso aderendo a logiche eversive della convivenza civile garantita dalla Stato. Anche per loro vale il principio di non colpevolezza, come è ovvio, ma le loro condotte gravi, e spesso reiterate, sono tali da non poter essere lasciata intentata ogni via che ne limiti la capacità criminale: a costoro va rivolta attenzione con un corpus normativo rinnovato che ne favorisca il contrasto.
Si tratta di trovare pertanto un punto di equilibrio tra l’ordinario e lo straordinario, mettendo come fulcro la Costituzione. È questo che Nordio deve fare nei prossimi mesi, è su questo che verrà giudicato.
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