Il reato di tortura, definito dalla legge 110 del 2017 adottata su spinta di una sentenza da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo, potrebbe presto subire all’interno del quadro legislativo una modifica, oppure un’abrogazione. Sono, infatti, stati presentati diversi disegni di legge in tal senso negli ultimi messi, che hanno spinto il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa a porre la sua lente di ingrandimento sull’Italia.
Non è chiara concretamente la modifica che il reato di tortura subirebbe, e neppure se sia reale intenzione del governo modificare la legislazione in tal senso, ma è certo che il Consiglio d’Europa ha già tirato il freno a mano. La legge, come anticipato, fu introdotta dopo la sentenza del 7 aprile 2015 sul caso Cestaro con la quale l’Italia fu condannata per la violazione dell’articolo 3 della Convenzione che definisce proprio il reato di tortura, nonché quello di trattamenti inumani o degradanti. La cornice di senso era quella del tragico G8 di Genova, dopo il quale l’UE spinse l’Italia ad adottare una legislazione in materia, che venne attuata “solamente” 16 anni dopo.
Le preoccupazioni della Corte d’Europa sul reato di tortura
Ora, quella stessa legge che definisce il reato di tortura e che funge soprattutto da deterrente per la violenza perpetrata dalle forze dell’ordine, potrebbe subire una qualche modifica. Il Comitato della Consiglio d’Europa, dunque, è stato chiamato proprio a vigilare sull’applicazione corretta della sentenza della Corte europea del 2015, poiché secondo l’articolo 46 le sentenze della Corte vanno sempre rispettate dagli stati membri dell’UE.
La Corte, in una dichiarazione in calce alla riunione del 7 dicembre in cui si è discusso del reato di tortura in Italia, ha spiegato che “prende atto con preoccupazione delle iniziative legislative volte ad abrogare le disposizioni del codice penale sul reato introdotto in esecuzione della sentenza Cestaro” che “implica che l’Italia istituisca meccanismi giuridici in grado di imporre sanzioni adeguate agli autori del reato di tortura”. La Corte ha sollevato “dubbi sulla possibilità che lo Stato convenuto adempia a tale obbligo, nonché il suo impegno a prevedere disposizioni pensali che puniscano i maltrattamenti e gli atti di tortura”. Positiva, invece, secondo la Corte l’introduzione del codice alfanumerico per identificare gli agenti delle forze dell’ordine, mentre si invitano le istituzioni governative ad inviare “un chiaro messaggio di tolleranza zero” alle forze dell’ordine.