Elogio del discorso inutile è l’opera che meglio delle altre caratterizza la svolta culturale e spirituale che ha segnato gli ultimi vent’anni della vita di Pietro Barcellona. Dalla militanza nel Partito comunista, dopo il crollo del muro di Berlino e la conseguente drammatica evidenza delle degenerazioni dei regimi comunisti strumentalmente legati alla lotta del proletariato, attraverso il travaglio di una revisione profonda della sua personalità, perviene come a una sorta di “resurrezione della consapevolezza di sé”, nella quale tutto è recuperato, soprattutto il suo passato, nei desideri più profondi che l’avevano contrassegnato. Importanti, direi decisivi, sono stati per lui gli incontri fatti.

«Non si può comprare a nessun prezzo la gioia di essere vivi dopo una notte di tempestosa trasvolata nel cielo. Il “senza prezzo” dell’eccedenza è il valore dei rapporti fra l’io e il mondo, fra sé e l’altro, che non si può ridurre a valore di scambio e che non è calcolabile con criteri di misura utilitaristici» (p. 16).

Ecco si potrebbe dire che la storia di sé che Barcellona vuole raccontare è un’esaltazione dell’incalcolabile, come senso e fondamento di speranza per l’esistenza umana, dell’“irruzione dell’impensato” e dell’“esperienza dell’eccedenza”, che possono essere descritti solo con il “linguaggio incommensurabile della gioia della vita” o, se vogliamo, del discorso inutile.

È una opposizione netta contro la pretesa di ricondurre tutto a ciò che è spiegabile e al linguaggio scientifico come onnicomprensivo, che nell’epoca attuale sembra la sola via per l’accesso a una qualche verità. La soggettività umana nella sua esigenza di comprendere e raccontare la realtà non si lascia costringere all’interno di una descrizione o spiegazione scientifica di essa. È necessario, dunque, dare spazio a discorsi “alternativi”. In primo luogo al discorso psicoanalitico.

«Ho maturato, nel corso della mia vita e delle mie esperienze, la profonda convinzione che il discorso psicoanalitico non risponda ai canoni della ragione calcolante e che non ci siano risultati pratici causalmente imputabili a una qualche modificazione fisiobiologica. […] Per questo credo che la psicoanalisi tenda a realizzare una comprensione del mondo e di se stessi, non già ad apprendere tecniche comportamentali utili ad agire in una determinata situazione» (p. 68).

Se la psicanalisi tende a realizzare “una comprensione del mondo e di se stessi”, essa apre inevitabilmente al discorso filosofico o alla ricerca dell’originario. Quel discorso – confessa Barcellona – che fin da ragazzo lo ha attratto, con una modalità quasi “socratica”, e che lo ha segnato poi per tutta la vita.

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A questo punto l’autore si chiede perché la filosofia nel corso della storia abbia smesso di essere un discorso inutile, cioè “inteso a comprendere se stessi” e si sia tramutata in discorso strumentale, cioè atto “a spiegare il perché degli eventi che accadono lungo il cammino della nostra esistenza. Ed ecco la risposta:

 

«La tragica esperienza del fallimento del possesso della verità assoluta, senza ombre né misteri, ha spinto i filosofi a sostituirla con la “certezza” acquisita attraverso la sperimentazioni delle ipotesi, come risultato di un metodo “scientifico”, fondato su regole precise. Mentre il discorso filosofico finisce con il coincidere completamente con la filosofia della scienza, bisognerebbe invece ripartire dal rovesciamento del rapporto tra pensiero e vita effettiva e tornare a recuperare l’“inutile” elementarità della filosofia come “vita che si sa”, per comprendere che la “verità” sta nell’esperienza immediata che ciascuno fa del rapporto con sé, gli altri e il mondo» (p. 104).

 

Cosa c’è, dunque, dietro la riduzione della domanda sullo specifico umano a logica, epistemologia e teoria della conoscenza?

 

«È un’opera di rimozione del problema della finitezza degli “esseri mortali”».

 

È la negazione da parte dell’uomo dell’appartenenza originaria e costitutiva del suo essere che ci ha portato all’epoca della “morte di Dio” cui è seguita la “morte dell’uomo”.

 

«Come conseguenza estrema della volontà di uccidere dio, oggi, con le teorie post-umane, neuro scientiste e cognitiviste, siamo di fronte ad un tentativo di “uccidere l’uomo”, mettendo in crisi la dimensione della “soggettività spirituale” che ne ha accompagnato la vicenda storica» (p. 125).

 

Eppure nel cuore di ogni essere umano rimane “il senso profondo della dimensione religiosa” come “ricerca di una via di salvezza, che non è soltanto la speranza di un perdono per le proprie colpe, ma soprattutto il desiderio di conservare, oltre la soglia dell’oscuro silenzio, gli affetti e il senso della propria esistenza” (p. 131).

 

A questa esigenza viene incontro in modo impensato e impensabile il cristianesimo per la straordinaria innovazione che Cristo introduce nella storia della condizione umana.

 

«L’evento della nascita di Cristo è un sussulto dell’Universo che si ribella al proprio destino mortale; è un’energia che non rimanda a null’altro che alla propria manifestazione, che irrompe nella storia umana e ne sospende il flusso, perché la sua piena presenza non è pensabile se non come evento istantaneo, senza presupposti» (pp. 134-35).

 

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Nella conclusione dell’opera l’autore confessa che il discorso religioso, che trova nell’annuncio dell’evento cristiano il suo culmine di significato per l’esistenza umana e la sua salvezza dal niente, è quel discorso inutile nel quale si compiono tutti gli altri discorsi, perché

 

«l’essere umano non può sapersi, nel suo essere fuori misura”, nel suo essere sottoposto alle leggi del tempo e della morte, se non incontra nella propria esistenza l’esplosione dell’Evento assoluto, in cui il figlio dell’uomo e il figlio di Dio si ricongiungono nell’amore» (p. 148).

 

Confessione che mi commuove perché mi riguarda personalmente. Barcellona, infatti, riconosce che questo incontro per lui è accaduto attraverso “un prete, di cui sono diventato amico in questi ultimi anni” (p. 147).