Carlo Ossola, professore al Collège de France e fine maestro degli studi sull’universo della scrittura scaturita dalla tradizione dell’età moderna, ha da poco pubblicato un suo originalissimo volume di “memorie” biografiche e letterarie: Il continente interiore (Marsilio 2010). Si compone di cinquantadue “stazioni” – una per ogni settimana dell’anno –, concepite come occasioni di sosta in vista di una lettura meditativa e di assimilazione, diluibile sui tempi lunghi della ripresa per verifiche itineranti.

Il libro si sgrana come un rosario di parabole e di racconti brevi, dove il ritratto e la confidenza personale si alternano alla riflessione morale, al commento critico, alla presentazione di elogi e di figure esemplari, lungo l’andirivieni di un viaggio alla ricerca di una identità interiore ancorata a uno stile di umanità sobria, misurata, attenta all’essenziale, che vuole ritrovare il gusto del bello legandolo alla carità della verità e alla profondità dell’armonia con il destino che fa essere tutto ciò che esiste. Siamo di fronte a una proposta “politicamente” poco corretta, che dialoga con il cuore antico della civiltà umanistica di cui siamo eredi, e dove in luogo delle mode del discorso che va per la maggiore si affacciano con signorile discrezione garbati inviti che inneggiano alla “perdita di sé”, alla superiorità della dedizione oblativa, all’umile servizio del concentrarsi sul dovere quotidiano per il bene di chi ci sta vicino ed è affidato alle nostre premure.

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La “giustezza della premura silente” e il dono dell’imparare a “vivere solo lavorando, in pace”, la “povertà” che si rovescia nel possesso autentico delle cose e nel rispetto supremo della libertà dell’altro, invece di sottometterli al proprio uso e consumo, sono la melodia di sottofondo di un’etica del quotidiano che aspira a riconciliarsi con quanto di più nobile e di più duraturo sopravvive nel cuore della nostra post-moderna “terra desolata”. Nella sua anima più segreta si fa sentire il fascino di un esercizio intellettuale a lungo allenato a misurarsi con le pieghe più complesse e imprevedibili del dialogo dell’uomo con l’Assoluto, alla ricerca di una pienezza di risposta alle proprie attese che nel paradosso del Dio fatto uomo, espropriato di sé e crocifisso per la salvezza di tutti, ha trovato la punta più alta della sua vertigine, ma da cui si può ancora oggi ripartire per diffondere nel mondo il calore di una forza potente di attrazione.

 

Come semplice invito cordiale per immergersi nella lettura, d’accordo con l’autore e il suo editore (che sentitamente ringraziamo), forniamo qui in allegato l’anticipazione del capitoletto dedicato alla figura di Geppetto e alle Avventure di Pinocchio, terzo numero nella sezione degli “Elogi”, dopo “In pura perdita”, Bartleby di Melville e subito prima di Nikolaus Tarabas di Roth e di Tönle Bintarn di Rigoni Stern. Potremmo chiudere qui con gli splendidi versi di autoritratto dedicati a Lucinda Matlok nell’Antologia di Spoon River, da lei immaginati avendo negli occhi il suo caro Davis (li cita Ossola a chiusura dell’Elogio n. 4): “Ci sposammo e vivemmo insieme settant’anni, / stando allegri, lavorando, allevando i dodici figli / […] / A novantasei anni avevo vissuto abbastanza, ecco tutto, / e passai a un dolce riposo. / Cos’è questo che sento di dolori e stanchezza, / e ira, scontento e speranze fallite? / Figli e figlie degeneri, / la Vita è troppo forte per voi – / ci vuole vita per amare la Vita”!