Gli ultimi dati sul Pil e sull’inflazione diffusi venerdì dall’Istat hanno fatto ricomparire il fantasma della stagflazione per il nostro Paese. Inoltre, in un report pubblicato ieri, Area Studi Legacoop e Prometeia stimano che a fine 2022 il Pil aumenterà del 2,2% (in linea con la crescita acquisita alla fine del primo trimestre) e che il mancato incremento rispetto alle previsioni di qualche mese fa non potrà essere recuperato negli anni successivi a causa principalmente degli elevati prezzi dell’energia.



Marco Fortis, direttore della Fondazione Edison e docente di Economia industriale all’Università Cattolica di Milano, non nasconde che chiudere l’anno con una crescita pari a quella acquisita «non è scontato. Vorrebbe dire in media non avere più dati congiunturali negativi nei prossimi trimestri. E questo dipende sostanzialmente dall’andamento del conflitto. Se cessassero le ostilità vedremmo anche un calo dell’inflazione, perché verrebbe meno la speculazione che alimenta i rincari delle materie prime, soprattutto energetiche».



In buona sostanza, più la guerra prosegue, più aumentano le possibilità di una stagflazione.

Nel momento in cui vi fosse un avvitamento in senso negativo del conflitto, nella sua durata, nella sua intensità o ampiezza geografica, si verrebbe a creare una situazione molto negativa per l’Europa: una recessione accompagnata da una persistente inflazione da costi esterni, non da domanda, che ci farebbe entrare in stagflazione. Sarebbe ovviamente un disastro. Nel caso invece il conflitto rientrasse in tempi ragionevoli, anche se resterebbe da capire con quali modalità, allora potremmo cominciare a guardare i dati reali.



Al momento cosa ci dicono questi dati?

Che l’economia mostra una resilienza quasi insospettata: il -0,2% con cui si è chiuso il primo trimestre è stato un risultato, seppur negativo, migliore delle aspettative, soprattutto pensando all’avvio del 2022 per la manifattura, che lasciava pensare a un trimestre più nettamente negativo. Evidentemente l’edilizia ha rappresentato un forte elemento compensativo e nella manifattura molti settori non sono calati come ci si aspettava, alcuni sono anzi cresciuti grazie all’export, pur in presenza di margini calanti: sulle difficoltà degli energivori hanno prevalso i dinamismi di quelli che avevano ancora ordini. I servizi sono leggermente calati, anche se pare il commercio abbia tenuto più del previsto. Attualmente, considerando gli ultimi cinque trimestri, l’Italia, rispetto al quarto trimestre 2020, ha messo a segno un incremento di Pil cumulato (+6,1%) maggiore di quello di Spagna (+5,9%), Francia (+5,6%) e Germania (+2,8%).

Le cose sembrerebbero quindi non andare così male…

Ovviamente non dobbiamo montarci la testa per il -0,2% del primo trimestre, perché siamo nel pieno del secondo, con la guerra che sta proseguendo. Il turismo pare sia in una fase molto positiva, come si è visto ad aprile, con una ripresa di flussi internazionali, salvo che dalla Cina e dalla Russia. L’elemento a mio avviso più preoccupante è relativo all’inflazione: se perdurasse, alimentata dal conflitto, rischierebbe di esserci una mannaia sui consumi, che rappresentano i due terzi del Pil. Al momento mi sembra però inutile farsi prendere da un panico che spinga anche verso scelte di politica economica che potrebbero essere azzardate o sopra le righe in questo momento: bisogna mantenere i nervi saldi. A mio avviso in queste circostanze l’unico tipo di guida che si può impostare è la navigazione a vista. Guardando nel frattempo alla prosecuzione del conflitto e attendendo il dato sulla produzione industriale di marzo.

Perché è così importante questo dato?

Perché se la produzione industriale a marzo fosse andata abbastanza bene avremmo la dimostrazione di una tenuta della manifattura. Del resto le esportazioni extra Ue a marzo sono andate alla grande. Sarà interessante capire se si stavano smaltendo i vecchi ordini o se invece ve ne sono di nuovi con una gittata di diversi mesi.

Magari grazie anche a un euro debole?

Queste dinamiche dell’export vanno secondo me oltre l’andamento del tasso di cambio: in questo momento stiamo guadagnando quote di mercato grazie a un’industria che, al netto di tutte le traversie di questo frangente, è la più competitiva sulla piazza. L’unica cosa che ci sta creando un po’ di problemi è la mancanza di alcune materie prime o componenti che arrivavano dall’Ucraina. Tra l’altro ci sono Paesi sull’altra sponda del Mediterraneo che dipendono tantissimo, per i beni alimentari, dai Paesi in conflitto.

Nel frattempo in Italia si discute, anche in maniera piuttosto vivace, sugli aumenti salariali. Cosa ne pensa?

Penso che in questo momento, anche su un tema come questo, occorra la navigazione a vista da parte del Governo. Trovo tra l’altro sorprendente che ci sia dimenticati dell’introduzione dell’assegno unico: una famiglia con tre figli e con un solo lavoratore, da quello che ho potuto appurare, prenderà 5.200 euro in più all’anno, al netto della soppressione dei precedenti trasferimenti. Questo è importantissimo e forse spiega in parte la tenuta dei consumi. Negli anni a colpi di 80 euro, poi diventati 120, e di misure come l’assegno unico, si è rimpolpato un po’ il potere d’acquisto delle famiglie che era stato eroso dall’austerità. Quindi, capisco che si cerchi di parlare di aumenti salariali, ma ricordiamoci che gli ultimi Governi hanno accresciuto a ripetizione il potere d’acquisto delle famiglie: non veniamo da anni di vacche magre. E poi è stato appena approvato un bonus una tantum da 200 euro per lavoratori e pensionati.

(Lorenzo Torrisi)

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