Dopo la decisione della Fed di alzare i tassi di 75 punti base, il mercato azionario americano è rimbalzato e i rendimenti dei titoli di stato americani sono scesi. Il presidente Powell ha dichiarato che “potrebbe diventare opportuno rallentare il ritmo dei rialzi”. Il mercato sembra scommettere che la Fed non potrà continuare per molto con la stretta monetaria; da un lato, Powell può ancora dire che la disoccupazione è bassa e che il mercato del lavoro è molto forte, dall’altro gli ultimi dati sull’economia segnalano un chiaro rallentamento. Il mercato immobiliare sta ritracciando e questa settimana Walmart, la principale catena di supermercati americana, ha dovuto abbassare le proprie stime di utile perché gli acquisti alimentari, diventati più costosi, stanno togliendo spazio ai consumi di beni discrezionali al punto che la catena si ritrova troppe scorte in magazzino.
Non è chiaro per quanto tempo la Fed potrà giustificare la stretta monetaria se l’economia entrerà in recessione. I problemi principali sono due: la crisi energetica che devasterà l’economia europea, e non solo, e la rottura delle catene di fornitura globale in seguito alle tensioni geopolitiche. A questi due temi si aggiunge l’aumento dei prezzi alimentari che però non coinvolge direttamente l’America, anche se aggiunge pressione su molti suoi partner commerciali a partire dall’Europa. L’Unione dovrà subire sia maggiori flussi migratori che l’instabilità dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo.
Finora la Fed ha potuto giustificare facilmente una stretta monetaria fatta a ritmi sostenuti. L’economia americana è cresciuta e ha prodotto bolle sia nel mercato immobiliare che in quello del lavoro, con molti settori che faticano a trovare manodopera. L’inflazione è ai massimi degli ultimi 40 anni. In questo contesto la Fed non ha avuto scelta. Se l’economia dovesse rallentare o frenare completamente, invece, la politica monetaria diventerebbe più complicata. I tentativi dell’Amministrazione Biden di cambiare la definizione di “recessione” e alcune dichiarazioni di Powell ieri su una revisione del Pil non lasciano presagire nulla di buono.
Chiudere la fase di rialzo dei tassi con un’inflazione ancora ai massimi è una stranezza, tanto quanto continuare con gli incrementi in piena recessione. Il problema è che la crisi energetica e la ristrutturazione delle catene di fornitura globale, due enormi spinte inflattive, non sono sotto il controllo della banca centrale americana. Sono fattori esogeni. L’inflazione si sta divaricando tra componenti che salgono, in una certa misura, a prescindere da quello che fa la Fed e altre che invece risentono del calo dei consumi aggravato da scorte alte. Se Putin chiude i rubinetti del gas, o se un missile in Ucraina piuttosto che in Medio Oriente colpisce un’infrastruttura energetica importante, i prezzi salgono anche se Powell raddoppia il rialzo dei tassi. Se le tensioni geopolitiche, per esempio a Taiwan, mettono in crisi la produzione globale di chip i prezzi salgono indipendentemente dalla Fed. Se i prezzi alimentari salgono perché due Paesi esportatori, come Olanda e Canada, decidono di tagliare drasticamente i fertilizzanti a base di gas, la banca centrale americana può fare poco.
Se la Fed continua a perseguire la riduzione dell’inflazione, in questo scenario l’unico mezzo è far crollare i prezzi degli acquisti più discrezionali, dato che su alcune componenti non ha potere. Questo significa mettere in conto una recessione profonda prima di cambiare politica monetaria.
La reazione dei mercati di ieri è la presa di coscienza di quanto sia cambiato l’ambiente in cui opera la Fed. È un ambiente in cui la stretta monetaria è più complicata e in cui comunque si avvicina la recessione. Tanto basta in un mercato in cui è impossibile prendere posizioni a medio o lungo termine per un movimento in cui si scommette sulla fine delle politiche monetarie restrittive. Una scommessa non troppo convinta, perché la dimensione della recessione che arriva non è ancora chiara e perché nessuno sa quanto Powell sia determinato a far scendere l’inflazione in caso di rallentamento economico.
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