Oggi siamo costretti a scomodare, ricordandone una sua celebre citazione, il celebre matematico e statistico statunitense John Wilder Tukey. In questa nostra sede, tale illustre pensiero vedrà unicamente la propria sintesi attraverso una considerazione che, per chi non ha molta pazienza, potrà prontamente ritrovare alla fine. Comunque, per meglio godere di questa rara e impeccabile perla di saggezza riteniamo opportuno suggerire la lettura (completa) dell’intero argomentare.
Il punto di partenza è strettamente collegato alle recenti affermazioni della Presidente Christine Lagarde che, nel corso di un’intervista, ha dichiarato come non si aspetta alcun Paese dell’area euro cadere in recessione nel 2023. Nulla da obiettare, anzi, ce lo auguriamo sinceramente. Ma, a ogni modo, appare indiscutibile come le parole della Governatrice della Bce non affrontino a pieno l’eventuale problema. Quale recessione? Che tipo di recessione? Tecnica o economica? Le differenze sono ovvie e, concretamente, rappresenterebbero un vero e proprio divario (netto) sia nella forma che nella sostanza.
Nessuno vorrebbe prendere atto dell’ennesimo errore di comunicazione o, addirittura, di valutazione (rif. precedenti stime sbagliate sull’inflazione) come, inoltre, nessuno vorrebbe essere colto dell’ansia da prestazione nel rincorrere (ormai a fatto compiuto) gli eventi, ma, prudenzialmente, è bene porre particolare attenzione sul “chi-cosa-dice” e, ancor più, sul “come-lo-dice”.
Assumendo come concrete le parole della Presidente Lagarde rimane, comunque, il dubbio sull’effettivo stato recessivo “tecnico” oppure “economico” e, per questo vuoto comunicativo, possiamo immaginare che l’intento sia da ricondurre all’aspetto più rischioso e temibile ovvero: una cosiddetta recessione di natura economica. Se così fosse, sarebbe lecito un “liberi tutti” sull’opzione di incappare in quella forma più lieve, meno preoccupante, ossia sostanzialmente “tecnica”. Un lasciapassare generalizzato per il Vecchio continente. Un mancato penitenziàgite per i Paesi maggiormente in difficoltà.
Guardando con attenzione gli ultimi dati economici, il rallentamento della Francia, potrebbe avvicinarsi (di molto) a questo potenziale scenario. Ieri, infatti, l’Insee (Institut national de la statistique et des études économiques) ha comunicato il dato definitivo del Pil del quarto trimestre del 2022 de “La Grande Nation” a noi vicina.
I francesi, nell’ultima parte dello scorso anno, hanno visto crescere la loro economia di modesto +0,1% (dato in linea con la stima preliminare) dopo il precedente +0,2%. Un valore che, considerando l’intero 2022, vede concludere una serie storica all’insegna di un indebolimento costante. Nei fatti, però, la Francia ha comunque evitato la sua (potenziale) sventurata caduta in territorio negativo cosa che, invece, è accaduta alla Germania. Venerdì scorso, infatti, in capo all’ex locomotiva d’Europa, lo stesso dato sul Pil trimestrale è stato addirittura rivisto al ribasso: -0,4% anziché -0,2% delle stime preliminari.
Nell’attesa di prendere consapevolezza dei nostri conti (saranno comunicati al termine della settimana) sulle sorti future della Germania qualche dubbio affiora come, ancora, qualche perplessità sulle citate affermazioni della Presidente Lagarde.
Se di nessuna recessione (sia tecnica che economica) la Governatrice vuole intendere, allora anche quanto riportato dal Fondo monetario internazionale nel suo Economic outlook di fine gennaio troverebbe una propria valenza smentendo (come è stato) il precedente monito «il peggio deve ancora arrivare» (ottobre 2022) del capo economista del Fondo Pierre-Olivier Gourinchas così come lo scetticismo della Direttrice generale Georgieva («Per la maggior parte dell’economia mondiale, questo sarà un anno duro, più duro di quello che ci lasciamo alle spalle»).
Restando in sede europea e guardando all’interno dei lavori del board della Bce, la consultazione del Bollettino economico n. 1/2023, conferma i nostri dubbi sulla recente e ritrovata serenità della Presidente Lagarde. Nella “Sintesi”, al punto sull'”Attività economica”, si legge e riportiamo: «I dati delle indagini segnalano un indebolimento dell’attività economica a livello mondiale al volgere dell’anno, dopo una crescita robusta nel terzo trimestre del 2022». Proseguendo: «Secondo la stima rapida preliminare dell’Eurostat, l’economia dell’area dell’euro è cresciuta dello 0,1 per cento nel quarto trimestre del 2022. Sebbene sia superiore rispetto alle proiezioni di dicembre degli esperti dell’Eurosistema, tale dato segnala un marcato rallentamento dell’attività economica a partire dalla metà del 2022, che secondo le attese del Consiglio direttivo nel breve periodo dovrebbe restare debole». Inoltre: «La flebile attività economica mondiale e l’elevata incertezza geopolitica, soprattutto a causa dell’aggressione ingiustificata della Russia all’Ucraina e alla sua popolazione, continuano a creare condizioni sfavorevoli alla crescita dell’area dell’euro». Oggettivamente, ed è opportuno sottolinearlo, le conclusioni sono molto chiare: «Continuano a creare condizioni sfavorevoli alla crescita dell’area dell’euro».
Giunti a questo malaugurato punto di approdo viene spontaneo interrogarsi “sul cosa”, “sul come”, e soprattutto “sul perché” del mutato pensiero lagardiano. A tal proposito, solo adesso, ci è utile ricorrere all’affermazione di John Wilder Tukey: «Molto meglio una risposta approssimativa alla domanda giusta, spesso vaga, che una risposta esatta alla domanda sbagliata sempre precisabile».
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