La recessione in Italia non c’è, forse arriverà se la guerra in Ucraina provocherà una crisi economica internazionale, ma non siamo a questo punto. Mario Draghi da Washington ha sfidato un luogo comune, ha raffreddato le preoccupazioni della Confindustria e del mondo produttivo e ha ridimensionato anche le previsioni del Fondo monetario internazionale. Come mai? Quali informazioni possiede? 



Intendiamoci, non tutto va bene, anzi, esistono serie strozzature che vanno rimosse: “Mancanza di materie prime, rallentamenti, non solo nel campo energetico ma anche nell’agro-alimentare, nella produzione di acciaio, carta, ceramica. È una situazione italiana e anche europea. Dobbiamo sostenere il potere d’acquisto delle famiglie con la stessa convinzione e rapidità con cui abbiamo sostenuto la risposta alla Russia”, ha spiegato Draghi, ribadendo che “bisogna diversificare le fonti energetiche”. Non solo. 



I principali partner italiani arrancano, rallentano, rischiano anch’essi una caduta dello sviluppo. Quindi, la manifattura italiana che esporta, nonostante la sua flessibilità e la capacità ampiamente dimostrata di reagire alla crisi, anche alla pandemia, vedrà ridursi gli sbocchi di mercato. Secondo il Fmi, per alcune delle più grandi economie europee come Francia, Germania, Regno Unito e Italia è prevista “una crescita trimestrale molto debole o negativa alla metà del 2022”, per l’Italia la stima di un 2,3% quest’anno, +1,7% il prossimo e +1,3% nel 2024. Il Governo tedesco calcola un Pil più debole e un’inflazione quasi doppia rispetto alle proiezioni precedenti. Il prodotto lordo dovrebbe crescere del 2,2% anziché del 3,6% previsto a gennaio, mentre l’inflazione attesa è del 6,1% rispetto al 3,3% di tre mesi fa. 



“I pericoli che gravano sulla situazione economica stanno peggiorando – ha detto il ministro dell’Economia Robert Habeck -. Raramente le previsioni sono state così incerte. La Germania paga il prezzo per il suo sostegno all’Ucraina, nel caso di una sospensione delle consegne di gas o di un embargo deciso dagli europei, allora arriverebbe davvero una recessione”. Tuttavia, l’economia tedesca è stata “più veloce” del previsto nella sua graduale emancipazione dal carbone e dal petrolio russi. La quota di greggio importato dalla Russia è scesa dal 35% prima del conflitto a circa il 12%. Quindi un embargo europeo sul petrolio russo sarebbe ora gestibile, anche se ci sarebbe un aumento dei prezzi. Peggio ovviamente se venisse colpito anche il gas. Tuttavia, lo scenario di “un disastro economico nazionale” non è realistico. Il tasso di disoccupazione in Germania è rimasto stabile in aprile al 5% secondo i dati destagionalizzati pubblicati dall’Agenzia per il lavoro, nonostante una frenata a causa della guerra in Ucraina.

Il cauto ottimismo italo-tedesco non nasconde che entrambi i Paesi si trovano all’interno di uno scenario di stagflazione. La stretta nella politica monetaria, prevista dall’estate, non può che peggiorare le prospettive: una tirata di cinghia è importante per evitare che l’aumento dei prezzi sfugga di mano, ma rischia di tirare anche il freno della domanda, insomma si ripropone il dilemma tra prezzi e produzione. Secondo Draghi, “gli indicatori sono confusi. Il primo trimestre è andato meglio del previsto. In una prima fase le stime erano migliori, in un secondo momento peggiori, alla fine ci siamo attestati su una via di mezzo“. In molti settori l’attività non si è indebolita, ha ricordato, soprattutto nei servizi, mentre la manifattura inizia a sentire il peso del rincaro dell’energia e delle strozzature nell’offerta di materie prime. Draghi ha apprezzato la cautela della Banca centrale europea, ma non c’è dubbio che la svolta ci sarà. 

Per l’Italia non è certo una buona notizia. Sul mercato dei titoli di stato c’è da tempo una pressione, lo spread con i Bund tedeschi è salito oltre il 2%, la sensazione è che tutti stiano alla finestra con i fucili carichi, pronti a sparare sul primo che molla. Draghi resta colui il quale ha sfidato i mercati nel 2012 annunciando che avrebbe comprato sempre qualcosa in più di quel che sarebbe stato necessario per sostenere l’euro. Oggi dice che il Governo è pronto a difendere la domanda interna e il potere d’acquisto degli italiani. Tuttavia, la potenza di fuoco del Tesoro non è certo pari a quella della Bce, al contrario è limitata da un debito enorme che torna a salire in quantità, siamo oltre i 2.700 miliardi di euro e non scende più in termini relativi perché la crescita rallenta. Per sostenere il potere d’acquisto, come promette Draghi, bisognerà spendere aumentando l’indebitamento, non potendo aggravare le imposte. 

Insomma, i vincoli della politica di bilancio sono davvero molto stretti. La recessione per ora è sventata, ma non si può escludere che lo spettro torni a materializzarsi in autunno. E il Governo dovrà fare whatever it takes.

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