«L’Eurozona entra in recessione tecnica». Ieri, in tarda mattinata, questa notizia poteva essere letta tra le tante diffuse. Oggettivamente, dal punto di vista testuale, un eventuale intento di voler porre maggiore enfasi all’accaduto non avrebbe avuto una plausibile fattibilità. Non capita spesso, infatti, che attraverso poche parole, una manciata, si possa sintetizzare una difficoltà economica seppur cosiddetta tecnica. Un fatto che, nella sua estrema sintesi, individua la fragilità di una realtà contraddistinta da un segno meno prima della cifra finale. Non è la prima volta. Ieri è toccato a noi, nella forma più ampia e collettiva dove ci vede partecipanti con altri Paesi ovvero l’Europa o, più correttamente, la circoscritta e denominata Eurozona.
Dopo la Germania, il dato sintetico su gran parte del Vecchio continente ha capitolato in territorio negativo. Per ben due volte consecutive, in due trimestri, e per la medesima entità, il saldo (o danno) si è concretizzato.
Proseguendo nella lettura del sopracitato virgolettato (Ansa) si apprende: «L’Eurozona è entrata in recessione tecnica nel primo trimestre 2023, a seguito di una contrazione dello 0,1% registrata per due trimestri consecutivi». Proseguendo: «Nel primo trimestre dell’anno, infatti, il Pil nei 20 Paesi dell’Eurozona è diminuito dello 0,1% rispetto al trimestre precedente. Nell’insieme dell’Ue si è invece registrato un aumento dello 0,1%. Lo rende noto Eurostat, rivedendo al ribasso le sue stime precedenti». Eccolo ancora lui. Il temuto “zero virgola”. Noi l’abbiamo detto, scrivendolo tre mesi fa, che navigare attorno alla virgola, soprattutto se prossima alla soglia zero, avrebbe comportato un eventuale (verosimilmente certo) errore di valutazione. Non solo. Rimanendo, infatti, in questa già delicata sede di calcolo è opportuno soffermare l’attenzione sul metodo di calcolo adottato dove il risultato finale si caratterizza per un unico decimale alla destra della virgola. Tradotto: un’implicita assunzione di maggior rischio poiché rappresentato da un’ardua lotta con (e contro) i molti arrotondamenti che, per la logica matematica sottostante ai singoli riporti, vede prima o poi la caduta finale: per difetto.
Nonostante la digressione in chiave statistica il dato è questo e rimane tale. Un’Eurozona alle prese con le difficoltà che pian piano con il trascorrere delle settimane e delle periodiche pubblicazioni prende sempre più forma. Poco per volta. Unico rilievo a noi favorevole, con questo «noi» che identifica proprio e solo noi italiani, è quello di vedere “Italy” tra i primi posti o, graficamente, nella parte più verde della rappresentazione grafica adottata da Eurostat.
Infatti, come riportato nella stessa notizia, osservando l’intera lista dei Paesi europei emerge come «sul trimestre, gli aumenti maggiori sono stati osservati in Polonia (+3,8%) e Lussemburgo (+2%). L’Italia ha fatto registrare una crescita dello 0,6%. Per la Germania invece -0,3».
L’intera realtà è questa. Un’Italia che continua a fare bene in un contesto più allargato caratterizzato da più economie che zavorrano l’intera squadra appartenente al Vecchio continente. Un’Italia che anche questa volta si distingue per il suo ritrovato smalto dei bei tempi. Un’Italia che, al pari del funambolo Philippe Petit, cammina sola e isolata lungo il proprio solitario tragitto. Un’Italia che sta facendo bene e che con buone probabilità lo farà ancora. Ma, purtroppo, solo per poco. Oggi, infatti, il timore di poter assistere passivamente a un’influenza negativa, il famigerato contagio a nostro danno, è quanto più di concreto che neppure i numeri potrebbero individuare.
Godiamoci l’attuale e inconsueta realtà che ci vede, al momento, occupare i primi posti di alcune importanti classifiche. Siamo consapevoli di non essere abituati a incarnare questo stato di grazia, ma iniziare è sempre il primo passo. Finché dura.
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