In base al rapporto 2023 sull’occupazione pubblicato ieri dall’Ocse, l’Italia è il Paese che ha avuto il maggiore calo dei salari in termini reali nel 2022. I salari degli italiani nel 2022 sono scesi del 6% in termini reali, a causa dell’inflazione, sia nel settore pubblico che in quello privato. In altri Paesi, Stati Uniti e Francia per esempio, la discesa è stata inferiore al 2%. A questo calo si somma quello del 2023, perché l’inflazione, seppure in calo, è ancora sensibilmente superiore agli aumenti salariali. Il dato dell’Ocse conferma i dati che erano emersi negli ultimi mesi sul mercato del lavoro in Italia. Il problema non è solo italiano, ma nel nostro Paese è più grave.



Una perdita del potere d’acquisto dei salari in queste proporzioni dovrebbe preoccupare qualsiasi Governo. Oggi il sistema beneficia ancora dell’eccesso di risparmio accumulato nel 2020 e nel 2021 e di una politica fiscale espansiva. L’Europa però sembra riavviarsi verso una stagione di austerità e il Governo italiano, a partire dal ripristino delle accise, segue; i risparmi sostengono ancora la domanda, ma non sono distribuiti proporzionalmente tra gli italiani e oltretutto hanno una durata limitata.



Il tema dei salari dovrebbe essere al centro delle preoccupazioni della “politica”. L’altro ieri il presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde, ha rilasciato un’intervista interessante al quotidiano francese La Provence: “Nell’attuale scenario la domanda chiave è se le imprese hanno intenzione di ridurre un po’ i profitti per accontentare le aspettative di aumento dei salari dei loro dipendenti” oppure “se vedremo un doppio incremento dei profitti e dei margini”. In questo secondo caso, “il simultaneo incremento dei salari e dei profitti aumenterebbe il rischio di inflazione contro cui non rimarremo inattivi”. Volendo parafrasare, il presidente della Bce sembra rivolgere un invito pressante alle imprese ad aumentare i salari sacrificando i profitti, per contenere l’ondata inflattiva, quasi sotto la minaccia di ulteriori rialzi dei tassi.



L’invito trova una giustificazione nell’aumento dei profitti che molti settori hanno visto negli ultimi trimestri e che sono fotografati ancora una volta nel rapporto pubblicato proprio ieri dall’Ocse: la media dei margini delle imprese nel primo trimestre 2023 è stata superiore a quella del quarto trimestre 2019 prima che arrivasse la pandemia. Questo è vero nella maggior parte dei Paesi coperti dal rapporto dell’Ocse inclusa l’Italia. In Francia, che pure ha avuto una diminuzione del potere d’acquisto dei salari minima in confronto all’Italia, i profitti delle imprese sono inferiori a quelli di fine 2019.

L’anomalia dei salari italiani è stata fotografata a più riprese da istituzioni rispettabilissime negli ultimi mesi ma ciò è avvenuto nel silenzio generale. Il paradosso è che i banchieri centrali e alcuni banchieri nazionali sembrano più attenti alla questione di quanto lo siano la politica e persino i sindacati. C’è una questione economica, perché la Bce vede segnali di rallentamento, che non significano recessione, ma non può abbassare i tassi a causa di un’inflazione ancora elevata; la Bce vede anche la normalizzazione della politica fiscale che, dal punto di vista delle famiglie, implica meno sostegni. C’è anche una questione sociale che forse il presidente della Bce, francese, ha ben chiara dopo i tumulti di settimana scorsa.

L’Italia ha già perso in buona parte il treno perché il mercato del lavoro e l’economia, ancora in salute, sono meno positive di sei mesi fa. Le ultime carte annunciate dal Governo per sostenere le spese di prima necessità sono utili, ma largamente insufficienti a coprire il buco che si è aperto.

La perdita di potere d’acquisto degli italiani è avvenuta senza una protesta, senza appelli e nel silenzio generale e si fatica a capire come sia stata possibile la distrazione generale. L’Italia ha contribuito più di tutti a risolvere il problema dell’inflazione europea, e della sua competitività, “arruolando” milioni di ignari italiani. Il conto è salato perché l’inflazione, a differenza di altre fasi, è stata vicina alla doppia cifra per molti mesi.

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