Cambia la forma ma non la sostanza: si tratta sempre e solo di debito, quel debito che c’è stato, c’è ancora, e ci sarà nei prossimi anni. A distanza di poche ore dalla notizia giunta da Banca d’Italia e riconducibile allo stato di salute delle nostre finanze pubbliche, arriva un nuovo strumento obbligazionario che va ad arricchire il già completo paniere di potenziali strumenti finanziari: l’Europa, in prima persona, è scesa in campo. Una destinazione delicata perché sempre minata, temuta e talvolta evitata perché rappresentante di quella voce aleatoria presente nei bilanci (non solo aziendali ma bensì nazionali): il debito.
Come spesso accade, anche in questo caso, si tratta di nuovo debito. Nessun allarmismo, anzi, mediante questa nuova emissione – si tratta del primo Recovery Bond con scadenza 2031 . viene finalmente dato adito alla prima mossa sull’importante scacchiera concernente il progetto di ricostruzione post pandemico “Next Generation Eu”. Nel corso dell’anno ne seguiranno altre (almeno due) e le caratteristiche saranno pressoché simili a questo nuovo ritrovato finanziario.
È bene? È male? È debito. Appare scontato e banale ricordarlo, ma chi sottoscriverà tale strumento diventerà a tutti gli effetti un debitore nei confronti dell’Europa: in cambio riceverà un premio che, al momento, è pressoché pari allo zero (0,086%). Chi sono i potenziali sottoscrittori? Obbligatoriamente (e si tratta di un vero e proprio obbligo) i principali Paesi europei coinvolti nel dramma pandemico. È doveroso sottolineare l’obbligatorietà a questa adesione poiché, in assenza di essa, sarebbe difficile assistere a un’autosufficienza da parte del singolo Stato che non vi ricorre.
Altro debito, altri debitori, un solo creditore. Si tratta del primo passo verso un commissariamento dei singoli Paesi? Dirlo è facile, dimostrarlo molto difficile. Quello che conta – adesso – è l’arrivo di nuova liquidità nelle casse delle molte nazioni destinatarie di tale dote. L’utilizzo che ne sarà fatto nei prossimi anni sarà decisivo, ma, a denti stretti, si può fin da ora ammetterlo: appare poco fattibile immaginare l’impiego di questa somma in opere che potranno adeguatamente remunerare e contribuire alla restituzione del capitale (ossia il debito contratto con l’emittente Europa). È comunque opportuno guardare al futuro, con sano realismo e oggettiva presa di coscienza.
E se all’insieme di quest’ultimi aspetti ci soffermiamo, i dati pubblicati da Banca d’Italia alla vigilia di questo embrionale “new deal europeo” vedono la tesoreria del nostro Paese – ancora una volta – fortemente provata dall’ennesimo (negativo) livello raggiunto del debito pubblico: ad aprile ben oltre i 2.680 miliardi. Sembra non fare notizia o per lo meno non scuote l’opinione pubblica (e la classe politica) a dar vita ad un serio e definitivo dibattito al fine di poter affrontare il problema.
Sul quotidiano la Repubblica di lunedì – il tema del nostro debito – è stato affrontato puntualmente attraverso un’analisi a firma Tito Boeri e Roberto Perotti. Nell’ampio approfondimento è opportuno riportare all’attenzione alcuni estratti: «Il nostro debito pubblico viaggia attorno al 160% del reddito nazionale. Poco meno di un terzo è detenuto dalla Banca centrale europea e su questa quota di fatto non paghiamo interessi. La parte restante, circa il 115% del Pil, è detenuta da investitori privati». Inoltre: «Condividiamo la strategia del governo di una espansione fiscale ai tempi del Covid, ma siamo preoccupati per questo ottimismo sfrenato. Basta un piccolo aumento dei tassi di interesse, o un intoppo nelle riforme del Pnrr, e il rapporto debito pubblico /Pil riprenderà ad aumentare. Partendo dal 160 per cento sarà difficile convincere i mercati che è tutto sotto controllo».
I timori sollevati sono concreti e condivisibili. Noi stessi, su queste pagine, avevamo già rilavato il “problema debito” del nostro Paese e non solo recentemente, bensì ancor prima dell’arrivo della pandemia: a novembre 2019 titolavamo come “I mercati guardano già a un nuovo Governo (col problema del debito)”. Oggi, però, lasciandoci alle spalle la sventurata e drammatica esperienza Covid e valutando più serenamente le potenzialità in ottica futura, riteniamo che si possa mutare l’outlook di fondo. Attraverso l’introduzione di queste nuove forme di finanziamento emesse dall’Europa l’Italia saprà far fronte alle numerose sfide che si presenteranno. Osservando la sfera politica, il Bel Paese appare avvantaggiato rispetto alla vicina Francia e all’inarrivabile Germania: per entrambi i Paesi le prossime elezioni – di fatto – rallenteranno il processo di avanzamento poiché frenate (è fisiologico) dal probabile cambio di guardia in capo alle rispettive presidenze. All’interno dei nostri confini, invece, salvo colpi a sorpresa della finora latente classe politica, il mandato al Premier e leader Mario Draghi sembra pronto per arrivare al termine della legislatura.
Ora, guardando e facendo i conti in tasca (alle nostre tasche), l’andamento del debito pubblico nazionale è ancora visto in crescita per alcune (poche) rilevazioni mensili, ma entro la fine dell’anno o al massimo nei primi mesi del 2022 (con buone probabilità entro il primo trimestre) siamo fiduciosi nel poter assistere a un ripiegamento (anche significativo) dopo parecchi anni di continua crescita.
Nonostante questa positiva nota, resta comunque vivo il problema debito che, con il trascorrere dei mesi, vedrà un nuovo creditore pronto a batter cassa: l’Europa. Nei confronti di quest’ultima, però, confidiamo – fin da ora – nella sua più ampia e concreta flessibilità. Per ora.
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