“Si ridefiniscono gli strumenti di presa in carico con politiche attive…”. Questa la premessa alle misure, e settoriali e trasversali, che il Presidente Draghi ha licenziato nel Pnrr che sta transitando verso l’Europa e sul quale ci soffermiamo per “attenzionare” alcuni provvedimenti che, ricordiamo, non hanno già in passato sortito buoni impatti sulla situazione delle donne italiane già definita dallo stesso Premier emergenziale e urgentissima. La memoria e l’esperienza mi sostengono in questa  analisi pacata ma molto documentata.



Nella stesura delle schede si intrecciano titoli di programmi e cifre destinate in una rete di algoritmi complessi, eterogenei e integrati con i vari livelli istituzionali e di difficile comprensione e attuazione. Sul tema lavoro e parità di genere è previsto un progetto di sostegno all’imprenditoria femminile, e un intervento specifico di definizione di un Sistema nazionale di certificazione della parità di genere. Sull’imprenditoria  femminile ricordiamo che è un ventennio che si stanziano risorse attraverso finanziamenti ricorrenti che transitano per l’approvazione di pseudo organismi di parità  obsoleti già individuati anche prima del Codice delle Pari Opportunità del 2006 (che va comunque novellato) dove la regola non scritta ma praticata è la suddivisione tra le organizzazioni sindacali rappresentate in queste commissioni di risorse  ancorate a norme consociative che finora non hanno dato una spinta propulsiva all’autentica iniziativa femminile anche perché molto spesso, come già accadde nella legge 215/1992 poi plurifinanziata, le risorse vengono  richieste da una donna ma   poi usate  dai  componenti maschili dell’impresa.



Sulla certificazione di genere ricordiamo il cosiddetto “bollino rosa” che fece la sua comparsa 13 anni fa, un vero ballon d’essai operato nel 2007  dall’allora  ministero del Lavoro e della Previdenza sociale  con un Avviso pubblico di manifestazione d’interesse per la partecipazione alla sperimentazione di un sistema di certificazione di qualità delle imprese in materia di pari opportunità di genere. Nacque nell’ambito del progetto “Bollino Rosa S.O.N.O. Stesse Opportunità Nuove Opportunità”, aperto a tutte le aziende pubbliche e private e finalizzato allo sviluppo di un sistema premiante per le aziende che adottavano politiche di non discriminazione e di valorizzazione delle competenze femminili. Il processo di valutazione e audit delle aziende fu effettuato tramite un sistema di indicatori,  di esperti del ministero del Lavoro e della Previdenza sociale. Risorse (400 milioni) poi destinate  a grandi aziende  che lottizzarono il progetto con criteri molto molto discutibili e poco molto poco  scientifici  e addirittura discrezionali. Il bollino sparì e non se ne è più avuta notizia. Dunque è saggio non ripetere la medesima operazione “disinvolta”.



Sui  servizi territoriali per infanzia,  inabili, anziani  “utili alle donne per entrare e rimanere nel mercato del lavoro” non possiamo aspettare che le giovani coppie se non hanno certezze di aiuti  decidano di mettere su famiglia: per i nidi  promessi ci vorranno almeno anni per costruirli o adattare strutture già possibili a ospitarli,  e i 250 euro dichiarati da luglio per ogni figlio servono per quei pochi  fin che ci sono le risorse. Per i/le caregiver  il Fondo 2018/2019 è andato alle Regioni che faranno i soliti corsi di formazione per enti decotti, ma i familiari delle persone non autosufficienti non hanno bisogno di formazione e auguriamoci che i fondi 2020/21/22 siano finalmente regolamentati e dati direttamente ai familiari per un loro utilizzo di sollievo.

Abbiamo bisogno di un Piano vero per le politiche di Pari opportunità, un piano di sistematici aiuti e incentivi fiscali alle aziende per assumere donne  fino a che non abbiamo almeno raggiunto un livello occupazionale consolidato anche attraverso, contrattualmente,  clausole sociali e incentivi alla flessibilità organizzativa, al welfare aziendale  allargato al ricorso all’uso strategico dei fondi bilaterali per maggiori congedi parentali in caso di ricorso a periodi di aspettativa dei lavoratori e lavoratrici che chiedono tempo e conciliazione per la cura della famiglia.

E qui mi fermo .Ma c’è tanto ancora da suggerire al buonsenso e non a parole scritte sulla sabbia.