Si sta parlando molto del summit mondiale sul clima voluto da Biden, aperto proprio in occasione della Giornata mondiale della Terra e preceduto da un accordo tra Consiglio e Parlamento europeo per introdurre nella legislazione l’obiettivo della neutralità climatica dell’Ue per il 2050 e una riduzione entro il 2030 delle emissioni di gas serra pari ad almeno il 55% dei livelli del 1990.
Un obiettivo che dovrebbe essere raggiunto anche tramite il Recovery fund. Il nostro Paese, attraverso il Piano nazionale di ripresa e resilienza, che sarà esaminato oggi dal Governo, investirà circa 57 miliardi entro il 2026 per la cosiddetta transizione ecologica. E, come ci spiega Marco Fortis, direttore della Fondazione Edison e docente di Economia industriale all’Università Cattolica di Milano, ne trarrà anche benefici economici, non solo ambientali.
L’obiettivo che si è dato l’Ue sembra però piuttosto sfidante.
L’Europa, e con essa l’Italia, si sta muovendo in una direzione che è già stata ampiamente intrapresa negli ultimi anni. Una tendenza di così lungo periodo come quella indicata in un contesto già abbastanza consolidato credo sia percorribile. Visto che quest’anno abbiamo la presidenza del G20 penso possa essere utile illustrare alcuni dati sulla nostra situazione.
Quali in particolare?
Il nostro Pil è l’ottavo per dimensione tra i Paesi del G20, ma siamo terzultimi per emissioni di CO2, meglio di noi fanno solo Francia (che però ha il nucleare) e Argentina. Se poi guardiamo alla sola industria, siamo la settima nazione del G20 per valore aggiunto manifatturiero e terzultimi per emissioni di CO2, alle spalle di Gran Bretagna e Argentina. Ciò evidenzia come il nostro modello di sviluppo sia tra i più sostenibili al mondo. In questo senso è ancora più interessante un dato che arriva dalle Nazioni Unite.
Ce ne può parlare?
L’Onu sviluppa da anni l’Indice di sviluppo umano, che considera, oltre al Pil, l’aspettativa di vita media attesa alla nascita e l’istruzione. L’anno scorso, nel Rapporto sullo sviluppo umano, è stata calcolata una nuova classifica del benessere che comprende anche le emissioni di CO2 e il consumo di risorse naturali delle nazioni. Considerando i Paesi del G20, i primi quattro sono europei: Gran Bretagna, Germania, Francia e Italia. Abbiamo anche la prima agricoltura d’Europa, ma è anche quella che emette meno CO2.
Le nostre imprese sono quindi pronte per questo importante obiettivo?
L’obiettivo è molto ambizioso, ma il nostro sistema negli anni ha fatto passi da gigante. Dai dati del Global Innovation Index, infatti, possiamo vedere che nella classifica del Pil prodotto per unità di energia utilizzata siamo secondi solo alla Gran Bretagna tra i Paesi del G20. Il numero di certificati ISO 14001 (riguardanti i sistemi di gestione ambientale) detenuti dalle imprese in rapporto al Pil ci pongono al primo posto nel G20. Abbiamo quindi un modello di sviluppo che ci vede in una posizione di preminenza rispetto agli obiettivi europei. E credo che l’industria, sfruttando le potenzialità del Recovery fund, possa trarne vantaggio. C’è la possibilità di fare salti in avanti molto importanti. Possono nascere occasioni di investimento, di crescita economica.
Tutto questo quindi economicamente paga? Si stima che il Pnrr farà aumentare mediamente il Pil dell’1,4% l’anno fino al 2026…
Il fatto che ci possano essere ricadute importanti quando si intraprendono strade ambientalmente sostenibili dal punto di vista economico è comprovato da moltissimi casi del passato. Se siamo leader mondiali nella conceria non è soltanto per una fortissima tradizione artigiana e industriale, ma anche perché i nostri principali distretti sono stati i primi al mondo a consorziarsi per gestire le acque: si sono posizionati 40-50 anni prima davanti ai cinesi. Quando si trovano occasioni per investire in tecnologie anche per necessità, per esempio la scarsità di materie prime, si generano vantaggi diffusi.
Può fare un esempio in merito?
Certo. Produciamo grosse quantità di leghe di rame di seconda fusione che impieghiamo nella rubinetteria e nel valvolame dove siamo leader mondiali. Oggi Enel sta aprendo spazi di investimento sulle rinnovabili che comportano vere e proprie rivoluzioni nel settore. Lo stesso avviene in Eni sui biocarburanti e in Snam sull’idrogeno. Questo significa sviluppare tecnologie, efficientare le reti, far nascere investimenti e nuove attività, nuove produzioni. Secondo me, lo spazio di crescita c’è ed è enorme, specie in settori non certo marginali, ma che pesano miliardi di euro in termini di fatturato.
Se ci sarà un impegno di Stati Uniti e Cina nella riduzione della CO2 e nella legislazione più favorevole all’ambiente questo potrà favorire le nostre esportazioni?
Certamente. Se ci pensiamo bene è già avvenuto. Quando la California ha prodotto leggi sempre più restrittive sugli impianti idrotermosanitari, nello Stato americano sono aumentate le vendite di rubinetteria e valvolame delle imprese italiane che è già conforme alle norme. Quindi l’avanzamento delle normative ambientali fa in modo che le nostre imprese siano attrezzate per battere quelle degli altri Paesi perché possono giocare come loro fattore competitivo non il costo del lavoro, ma la tecnologia. Ogni volta che l’asticella si alza, a restare spiazzate sono le produzioni più primitive.
(Lorenzo Torrisi)
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