È il Recovery and Resilience Facility, attraverso il Quirinale, e non Renzi a dettare il passo alla crisi di governo. Secondo quanto riportato ieri da La Stampa, Mattarella è intervenuto per congelare il confronto interno alla maggioranza ristabilendo le priorità: prima il Cdm sul Recovery, in agenda oggi, poi si riparlerà del resto.



Ieri il parlamento europeo ha votato il regolamento del RRF che disciplina l’erogazione dei fondi europei, condizionandola al rispetto dei parametri del Patto di stabilità. Se questi non sono rispettati, e lo Stato membro non mette in atto le azioni correttive, niente fondi. A questo ben noto meccanismo delle condizionalità, comune tanto al Next Generation Ue quanto al Mes, vanno sommate le perplessità europee sul gioco delle risorse con il quale il governo Conte sta cercando di rendere il piano italiano più compatibile con i vincoli di finanza pubblica.

Ce n’era quanto basta per indurre il Quirinale a intervenire e così e stato.

“In questo momento” dice al Sussidiario Stefano Folli, editorialista di Repubblica “l’Italia è un paese debolissimo e c’è una domanda che è ancora inevasa: chi gestirà – e come – la fase che viene? In condizioni normali, l’approvazione del Recovery sarebbe il tornante per chiedere a tutte le forze politiche di entrare in una combinazione di solidarietà nazionale”.

Insomma, virtualmente siamo già nel dopo-Conte. È solo questione di tempo.

Sembra che Mattarella abbia fermato Renzi per tenere Conte al suo posto e mandare avanti il Recovery Plan.

Una volta che l’aula avrà approvato il Recovery, nella misura in cui avremo chiuso il rubinetto di una possibile crisi con l’Ue, a quel punto le forze politiche faranno i loro conti.

Dovranno farli anche con Mattarella.

Ritengo che la posizione del presidente della Repubblica non sia quella di una difesa ad oltranza di Conte.

Non è un elemento secondario.

Se i partiti decideranno che hanno bisogno di un assetto diverso, ci sarà una crisi con conseguenti dimissioni del presidente del Consiglio.

Dunque la vigilanza di Mattarella non si vede ma c’è.

Non c’è dubbio. Diciamo che Mattarella ha spostato i termini della questione è li ha messi in una prospettiva – quella europea – che i protagonisti di questa strana crisi sembravano non avere colto.

Se ne può ricavare che a Mattarella interessa l’approvazione del Recovery Plan, non il destino di Conte. È una lettura troppo realista?

Mattarella vuole che il piano venga consegnato in Europa, ma sul dopo non ha detto o fatto nulla per escludere alcuna ipotesi. Né quella di una sostituzione di Conte, né quella delle sue dimissioni in vista di un Conte ter che permetta un riassetto degli equilibri di potere nella maggioranza.

Quali errori sta commettendo Conte in questa crisi?

Ritenere che si possa risolverla attraverso un mini-rimpasto. Il gioco di screditare Renzi mediante l’ufficio stampa di Palazzo Chigi, facendo passare l’idea che gli basti un posto per la Boschi, non funzionerà. Non mi sembra questa la strada, e nemmeno la strada indicata dal capo dello Stato.

Cosa vuole dire?

Prendiamo i Servizi: adesso sembra una questione petulante, ma domani, sgombrato il campo dal piano europeo, sarà difficile da maneggiare senza una crisi formale. Difficile vedere qualcun altro con quella delega, da Bettini a Franceschini, e il pieno consenso di Conte.

Il Partito democratico dice: o Conte o il voto, ma nello stesso tempo pare che faccia pressioni su Conte perché accetti una crisi rapidissima e un Conte ter, fidandosi di chi gli dà garanzie. Ma Conte non si fida.

Non si fida perché la crisi di fiducia è interna alla maggioranza. Lo stesso appoggio del Pd dura fino a che lo scenario non cambia. E lo scenario cambia nel momento in cui il Recovery sarà approvato.

Non crede che anche il Pd, non solo Renzi, sia una spina nel fianco del presidente del Consiglio?

Assolutamente sì, perché il Pd ha interesse a un riassetto generale dei poteri, cominciando da M5s. A torto o a ragione, il Pd si considera l’asse del sistema e chiederà che questo ruolo venga riconosciuto.

A quel punto Conte che cosa farà?

Se è intelligente agevolerà questo riequilibrio, se invece la sua ossessione è quella di non dimettersi nel timore di perdere tutto, allora questa è la migliore premessa per perdere tutto.

Perché la svolta dovrebbe essere l’approvazione del Recovery Plan?

In questo momento l’Italia è un paese debolissimo e c’è una domanda che è ancora inevasa: chi gestirà – e come – la fase che viene? In condizioni normali, l’approvazione del Recovery sarebbe il tornante per chiedere a tutte le forze politiche di entrare in una combinazione di solidarietà nazionale.

Renzi ha la forza – magari non da solo – di arrivare ad una soluzione istituzionale come quella descritta?

Da solo non ce l’ha, ma ne ha indicato l’esigenza e il terreno. Potrebbe essere il sasso che rotola giù dalla montagna e fa smottare tutto. Nel settembre 2019 gli è riuscito, adesso non saprei dirlo.

A meno che Renzi non abbia un appoggio eccellente, quello del presidente della Repubblica.

Questo è possibile, ma onestamente non lo so e non mi azzardo a fare previsioni. A lume di logica la cosa più sensata sarebbe approvare le linee generali del Recovery e attuarlo coinvolgendo le opposizioni.

Bisogna vedere se l’opposizione ci sta. Non è scontato.

Lo vedremo.

Come fa ad essere così sicuro che la direzione sia questa?

Ma perché questa maggioranza non ha le idee chiare, non sa come fare e non è chiaro chi sia disposto ad assumersene la responsabilità. Possibilmente evitando che finisca tutto all’italiana, in assistenzialismo e clientelismo.

Da qui la svolta auspicata. Ma il buon senso non sempre comanda.

Renzi potrebbe favorire il secondo tempo della crisi. A quel punto, quando il problema sarà sul tavolo, vedremo come si evolvono le cose.

Come valuta l’insistenza sul nome dell’ex presidente della Corte costituzionale?

Ho il massimo rispetto per la presidente Cartabia, ma non mi sembra una persona con l’esperienza politica che serve per guidare una nave in tempesta. Tuttavia fare il suo nome significa porre la questione di una maggioranza diversa da questa, prefigurando un governo di solidarietà nazionale.

Intanto nel governo si pensa a un’ennesima proroga dello stato di emergenza fino al 30 aprile. È la resistenza degli accerchiati?

Non so se sia la resistenza degli accerchiati o se la situazione richieda realmente la proroga, e non voglio pensare male. Però a questo punto, dopo quasi un anno nello stato di emergenza, si pone a maggior ragione un problema politico. Quello di mettere insieme tutte le energie disponibili.

Conte ha qualcosa di cui rimproverarsi?

Avere ostinatamente tenuto l’opposizione fuori dalla porta e aver gestito l’emergenza in solitaria anche rispetto alla maggioranza. Adesso è proprio l’emergenza a richiedere di allargare al massimo il coinvolgimento.

(Federico Ferraù)