C’è un modo, sicuro, garantito, certificato, per farsi un’idea di quel che ci aspetta nei prossimi mesi. E quel che si intravede non è un bello spettacolo. Non parliamo di virus, di quell’essere che tiene tutti noi nordici confinati entro casa o per rispetto, o per paura o, come capita al sottoscritto, per malattia. Parliamo di economia, parliamo di lavoro, di gente che fino a oggi si è recata in ufficio, in fabbrica, nel negozio con la speranza di guadagnarsi la pagnotta, e col sogno di poterci mangiare appresso anche il companatico. Ecco, in Francia hanno calcolato che sono spariti una decina di milioni di posti di lavoro per lockdown. Noi dicono molti meno. Forse perché tanti espulsi sono stati riciclati nel mercato infilandoli nei richiestissimi posti per esperti nei talk show televisivi!



Ma vabbè, torniamo a bomba. Cioè alla domanda: il dopo virus per il lavoro come sarà?

Il timore è che tra le parti più o meno funzionerà alla Totò: “Dica Duca, dica”, “No, dica Duca lo dico io, Lei dica Duca io dico dica” “Allora io dico Duca”, “E io dico dica”, “Duca?” “Dica?”. Premessa n. 1. Noi non siamo contro il Governo. Al limite siamo perplessi su qualche governante, ma è pur vero che se ci siamo fatti governare perfino da Toninelli potremmo sperimentare anche altro. Oggettivamente però le nostre perplessità tendono al rialzo, anzi all’impennata, quando sentiamo dire che il futuro del lavoro sarà garantito dai 209 miliardi del Recovery fund.



Ora, noi siamo certi che quei soldi arriveranno. A Bruxelles hanno mille difetti, ma in quanto a burocrazia sono il meglio. Cioè, come sono il meglio nel peggio così lo sono anche nel meglio. Programmano, progettano, predispongono. Poi passano alla fase operativa e gli ingranaggi tendono a girare con una certa costanza. Oh, ripetiamo, pur tra i loro difetti: provate a non stare dentro il sistema, a interpretare una norma invece di applicarla, e ve ne accorgerete. Flessibili come delle putrelle di cemento armato.

No, non sono i soldi che ci inquietano. E, al contrario di quel che noi stessi si diceva qualche mese fa, nemmeno la mancanza di idee. Bensì proprio il contrario. C’è un surplus di idee a Roma sul punto di come spendere quei soldi che a noi mette un po’ i brividi. E capirete che se alla febbre virale ci aggiungete anche i brividi da febbre da acchiappatutto che ha contagiato avidissimi gruppi di lobbisti e manager improvvisati, il nostro organismo rischia seriamente di dover subire una bella revisione generale in qualche Terapia più o meno intensiva.



Allora, dicevamo: il dopo crisi sono i miliardi. Ma come in qualunque film western, se c’è una cassa, una banca, basta anche una carrozza scalchignata, con dentro qualche ricchezza, ecco che all’orizzonte compaiono nugoli di banditi. E fossero almeno figure nobili come Jesse James e la sua banda; o il magnifico Russel Crowe di Quel Treno per Yuma. Macché: all’orizzonte compare una nostranissima Banda Bassotti. Pensate. A settembre erano stati presentati 557 progetti per un costo totale di 670 miliardi. Ce ne sono solo un terzo? Vabbè, per intanto qualcuno deve aver pensato che in democrazia è giusto che ognuno chieda quel che gli pare, poi si vedrà.

Così nel dubbio ministeri, agenzie e sotto agenzie talmente segrete e ignote che nemmeno loro sanno di esistere, enti pubblici, parapubblici, semi pubblici, in parte pubblici e in altra parte privati, enti già chiusi, enti dichiarati scomparsi, altri ufficialmente sciolti, soggetti semi privati, pre-privati, post-privati, com-privati, ecc., hanno dato sfogo ai loro bisogni, a una fantasia che in talune pieghe definire malata è un complimento.

Il quadro che esce da una lettura del documento riassuntivo di tante fatiche estive (e poi ti domandi com’è non ci siamo fatti trovare pronti alla seconda ondata Covid…), è desolante, se non fosse piuttosto collocabile tra il deprimente e il macchiettistico.

Quei fondi che dovrebbero ridare un lavoro e una dignità a quei milioni di italiani che non sono garantiti, che non hanno nessuna certezza di poter uscire non si dice indenni ma almeno solo leggermente ammaccati da questa tragica situazione, potrebbero servire a finanziare progetti che possiamo tranquillamente qualificare di improbabili. Certo c’è chi ha pensato di rivedere lo zio d’America finanziando il “Turismo delle radici” destinato ai discendenti dei migranti che vorranno ritrovare le loro origini e i propri avi (22,4 milioni). Chi invece ha capito tutto delle politiche agricole e del futuro a chilometri zero proponendo di sovvenzionare l'”Ammodernamento impianti per la molitura delle olive” per un totale di 1,2 miliardi.

La Farnesina a sua volta vorrebbe che Bruxelles consentisse a spendere 13 milioni per «la creazione di un sistema domotico», in modo «da avere un edificio intelligente» (beh, considerato chi in questo momento guida il Ministero lì allocato, in effetti forse quest’idea di avere sul posto almeno una intelligenza, sia pure architettonica, può avere un suo perché). Decisamente meno produttiva, in termini di lavoro intendiamo, ci pare invece l’altra idea, sempre relativa a quella Farnesina guidata da Luigi Di Maio, che vorrebbe spendere 14 milioni per rifare il pavimento in marmo del piazzale esterno del Ministero, collocando sotto le pietre dei generatori piezoelettrici, così da “trasformare l’energia cinetica dovuta al passaggio di persone e veicoli in energia elettrica”. Insomma, facciamo passeggiare la gente (manderemo più spesso al bar utenti e impiegati?) davanti al Ministero e così sostituiremo le centrali a benzina, idroelettriche o anche solari di tutta Italia!

Potremmo andare avanti a fare ironia su queste folli richieste se non fosse che temiamo che in nome del “tirare a campare” e della mancanza di una vera capacità manageriale, il Governo (qualunque esso sarà: in fondo qui in Lombardia non abbiamo mica visto una nobile e antica Fondazione finanziare come iniziativa culturale qualche duello a colpi di elmi celtici?), si piegherà e voucherizzerà pure quei fondi cui sono debolmente aggrappate le speranze dei nostri figli e nipoti.

Perché miriadi di progetti (non insensati in sé, ma come diceva Chesterton e noi non ci stanchiamo mai di ripetere, la follia non è l’assenza di raziocinio, ma il raziocinio senza il buon senso) corrispondono a nessun progetto, con buona pace della Commissione e della sua pretesa di sapere in anticipo come se ne andranno quei soldi.

E allora è arrivato anche per noi il momento di fare outing e di dichiararci orgogliosamente filofrancesi: sì, noi riteniamo che dallo Stato francese, meglio dal suo funzionamento, abbiamo qualcosa di imparare. Ad esempio, come si impiegano i 100 miliardi che la Francia avrà a disposizione: si fa un piano unico (loro lo hanno chiamato “France Relance”), comprensivo di 70 misure: 30 miliardi di euro per la transizione ecologica, 35 miliardi per competitività delle imprese e 35 miliardi di euro destinati a promuovere l’occupazione e la formazione dei giovani. Difficile fare così?

Certo tra quelle pagine non si trovano perle di saggezza come quella avanzata dalla nostrana Agenzia nazionale delle politiche attive del lavoro (Anpal), che chiede 11 miliardi per un “Piano per le nuove competenze” in modo che i Centri siano «appealing per tutti i lavoratori e non solo per le categorie di svantaggio». Sarà perché da loro i centri già funzionano, sarà perché a Parigi hanno la bislacca convinzione che prima di distribuirlo il lavoro bisognerebbe crearlo, sta di fatto che i soldi non pensano di buttarli dalla finestra.

No, se vogliamo avere una speranza per il domani, se il sistema Italia dovrà in qualche modo sopravvivere, dovremo guardare con molta attenzione a quanto avverrà da qui a Natale con Bruxelles e obbligare il Governo ad avere il coraggio di dire tanti no per concentrare gli investimenti laddove essi potranno produrre lavoro duraturo e che a sua volta generi ricchezza. E insieme dovremo avere il coraggio di chiedere, noi cittadini, società civile, corpi intermedi, che la Commissione entri a piedi uniti nei contenuti dei progetti nazionali.

Ursula, non far finta di non vedere, ti preghiamo! Con buona pace di chi ha venduto il futuro dei suoi (e dei miei, e questo mi crea qualche ulteriore dolore articolare) nipoti in cambio di una bella orgia romana oggi. Et après moi le déluge, come si disse a Parigi qualche tempo prima della Rivoluzione.

No, non è solo un problema finanziario, economico, industriale: è una questione di coscienza e di buon senso: non possiamo, non dobbiamo bruciare il futuro dei nostri figli in un falò delle vanità e dell’inutile.

Concentriamo le risorse sull’Industria (Economia circolare; Green Energy; Hydrogen), sulla produzione agricola di altissima qualità, sulla Formazione continua e sul reinserimento dei lavoratori espulsi; sul sostegno alle industrie innovative e ai settori produttivi che hanno un domani.

E pazienza se qualcuno resterà a bocca asciutta, come il ministro della Pubblica amministrazione Fabiana Dadone che ha chiesto 500mila euro per misurare il grado di soddisfazione dei cittadini nei confronti degli uffici pubblici. Quale sia il sentiment coltivato dall’italico utente verso la Pa che lei guida glielo possiamo far sapere noi. A gratis e in un acronimo.