Il ministro per gli Affari europei, Vincenzo Amendola, ai microfoni di Radio 24 ha spiegato che “il Governo non è in ritardo sul Recovery plan per la spesa dei 209 miliardi che dovrebbero arrivare dall’Ue con il Recovery Fund”. Risorse che, com’è apparso ancora più chiaro nei giorni scorsi, non potranno essere erogate prima del secondo trimestre del 2021. Gustavo Piga, professore di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma, non è preoccupato tanto dal timing cui i fondi arriveranno, «quanto dalla capacità di questo Governo, in un momento tra l’altro politicamente molto delicato, di avanzare proposte nell’interesse del Paese per il lungo termine e non guardare invece al breve a fini elettorali. Certe dichiarazioni del Premier Conte non sono in tal senso confortanti».



A quali dichiarazioni si riferisce?

Nei giorni scorsi ha evidenziato che gli investimenti possono generare maggiori costi futuri e ne ha messo quindi in dubbio la convenienza. Invece, gli investimenti fatti bene, che ammodernano la Pa e aumentano la produttività delle imprese, generano più risorse per il Paese, migliorano l’efficacia e l’efficienza di alcuni servizi. Non si può pensare, tanto per fare un esempio, di non costruire un nuovo ospedale perché poi ci sarebbero costi amministrativi e del personale da sostenere. Credo sia arrivato il momento per Conte di prendere in mano la situazione, perché manca un chiaro disegno di centralizzazione delle decisioni riguardanti il Recovery plan. Siamo in uno dei quei momenti in cui la leadership esercita un ruolo molto importante, ma mi sembra che il Premier si stia invece tirando troppo indietro.



Non le piace quindi come si sta gestendo quest’importante dossier?

Mi pare manchi una cabina di regia operativa e non vedo traccia dei due fattori fondamentali che dovrebbero rappresentare il fil rouge della destinazione delle risorse del Recovery fund.

Quali sono questi due fattori?

Il primo è relativo alla capacità amministrativa: stanno per arrivare più di 200 miliardi da utilizzare per gli appalti, ma nessuno sembra chiedersi se abbiamo le strutture e i sistemi di governance adeguati per gestire questi appalti. Il secondo è legato al settore più colpito a livello locale e nazionale dalla crisi, quello delle costruzioni, che mi pare trascurato: si parla tanto di green e banda larga, ma mi sembra che il Paese abbia ben altre priorità. Per esempio, ha bisogno di interventi per mettere in sicurezza il territorio minacciato dissesto idrogeologico o i luoghi di lavoro che cadono a pezzi, che rischiano di far crollare anche la produttività, come le scuole.



Destinare fondi a queste voci di spesa sarebbe compatibile con le richieste europee?

Gli interventi contro il dissesto idrogeologico sono per definizione green, come pure la realizzazione di costruzioni moderne a basso impatto ambientale. La scuola, poi, rappresenta una grandissima fonte di capitale immateriale. Ancora prima della banda larga, che servirà ai giovani, dobbiamo investire sui luoghi dove i nostri ragazzi passano le loro giornate e si formano. Ci sono delle priorità che questo Paese sembra aver dimenticato, ma che sono davanti agli occhi di tutti: basta camminare per strada per vedere tanti esempi della necessità di ricostruire, come nel caso del Palazzetto dello sport di viale Tiziano a Roma, gioiello architettonico di Nervi, oggi chiuso e abbandonato a se stesso, nel pieno degrado, in attesa da anni dell’inizio dei lavori di ristrutturazione.

Non c’è secondo lei la percezione dell’importanza di questi due fattori che ha appena ricordato?

Nel corso di un recente dibattito televisivo, cui partecipava anche Maria Cecilia Guerra, ho evidenziato la loro importanza e la sottosegretaria all’Economia ha assicurato che saranno i cardini per la spesa delle risorse europee. Mi auguro che non sia solamente una sua convinzione dato che al momento non si registrano segnali sul fatto che siano in cima alla lista dei pensieri della maggioranza. Come ho già detto in passato, occorre destinare il 10% degli oltre 200 miliardi che arriveranno dall’Europa alla creazione di un centinaio di stazioni appaltanti in cui inserire personale giovane e qualificato, il meglio del meglio tra ingegneri, architetti, economisti, giuristi, da retribuire in maniera adeguata, creando così squadre interdisciplinari che garantiscano la qualità della spesa. Le risorse che arriveranno dall’Europa rappresentano un grande bazooka, ma se non abbiamo chi sa usarlo cosa facciamo?

Prima ha evidenziato la mancanza di centralizzazione nelle decisioni sul Recovery plan. Sembra però difficile immaginarla visto il livello di scarsa coesione della maggioranza…

La maggioranza deve capire che ha l’occasione della vita: se spende bene questi 209 miliardi si assicura un lungo periodo di governo. Roosevelt morì poco prima della fine della Seconda guerra mondiale e con la sua lungimiranza assicurò un futuro politico al Partito democratico. Ci sono analisi empiriche importanti che mostrano come per lungo tempo i Democratici sono rimasti associati al concetto di New Deal, visto come un trionfo sociale, civile ed economico. Sono così riusciti a governare la macchina politico-amministrativa per 40 anni. I giallo-rossi hanno quindi una grandissima occasione, forse non si rendono conto nemmeno che in gioco c’è il loro futuro, oltre che quello dell’Europa. È una partita importantissima in cui hanno l’occasione di una schiacciata in campo aperto. Vedo però un’immensa vaghezza decisionale e un’assoluta mancanza di focalizzazione sulle cose fondamentali da fare.

Non sarebbe comunque necessario coinvolgere il Parlamento nella realizzazione del Recovery plan e nella sua approvazione definitiva?

In Parlamento c’è una maggioranza giallo-rossa, se c’è un leader il problema parlamentare non esiste: sarebbe in grado di convincere la sua squadra sulla bontà del progetto e tutti si unirebbero nel portarlo avanti senza perdere tempo. Conte sembra avere tra l’altro, se guardiamo i sondaggi, un sostegno sia della politica opportunista che della popolazione. È riuscito a ottenere a livello europeo il risultato importante del Recovery fund, adesso gli spetta portare a compimento quanto necessario per usarlo al meglio nell’interesse del Paese.

Le energie sembrano però messe anche nella predisposizione della Legge di bilancio, senza dimenticare le pressioni per accedere al Mes.

Il Mes è alternativo ai Btp, ha un vantaggio in termini di risparmio sugli interessi che però è minuscolo rispetto alla dimensione dei trasferimenti, quelli a fondo perduto, non i prestiti, che riceveremo tramite il Recovery fund. Tuttavia, contiene una trappola per cui se vi facciamo ricorso, una volta passato il Covid siamo ancora più legati alla vecchie logiche del Fiscal compact. Anche la Legge di bilancio mi sembra un tema secondario: vorrei che tutte le energie intellettuali del Governo e del Paese fossero dedicate a cogliere l’importante occasione del Recovery fund.

Che non toglie però il problema del ritorno alle regole del Patto di stabilità e crescita…

Parliamoci chiaramente e con onestà: non è escluso che tramite il Recovery fund ci venga chiesto di rientrare verso il pareggio di bilancio, tuttavia questa richiesta si potrebbe digerire più facilmente perché a fronte di eventuali impegni restrittivi ci sono delle somme estremamente importanti che vengono trasferite, non tutti i 209 miliardi come detto prima, e che non fanno crescere il debito. C’è un do ut des abbastanza importante da sfruttare per non ritrovarsi in futuro solo con i vincoli di bilancio.

(Lorenzo Torrisi)