L’entusiasmo per l’accordo raggiunto lunedì tra Francia e Germania sul Recovery Fund sembra essersi affievolito quasi sul nascere. In serata, via Twitter, Giuseppe Conte ha infatti scritto: “La proposta franco-tedesca (500 miliardi a fondo perduto) è un primo passo importante nella direzione auspicata dall’Italia. Ma per superare la crisi e aiutare imprese e famiglie serve ampliare il Recovery Fund”. Tutto passa ora nelle mani della Commissione europea, chiamata a mettere a punto una proposta da sottoporre ai Paesi membri. Al di là delle parole del premier, l’economista ed ex ministro delle Finanze e per il Coordinamento delle politiche comunitarie Francesco Forte evidenzia l’esistenza di problemi piuttosto importanti relativi a quella che viene indicata come la soluzione europea per la crisi determinata dal coronavirus che colpisce in modo serio il nostro Paese: “Non capisco fondamentalmente tre cose di questo schema ancora a dire il vero nebuloso”.



Ce ne può parlare?

Ci saranno vincoli per destinare risorse a politiche verdi? Nel caso cosa esattamente si intende con questo termine? Non è un problema di poco conto, perché c’è il rischio di alimentare degli sprechi. Collegato a ciò c’è il tema più generale sulla finalità di questo fondo: servirà per fare investimenti o rischierà di finanziare politiche assistenziali?



Qual è la terza cosa non riesce a capire del Recovery Fund per com’è stato finora presentato?

Mi sembra che non sia chiaro se le risorse serviranno per costruire infrastrutture europee. Si tratterebbe di un aspetto fondamentale per dar vita a una politica fiscale europea che affianchi quella monetaria della Bce. In questo modo si eviterebbe che la moneta stampata inondi il mercato ribassando i tassi di interesse e generando una condizione permissiva, ma non produttiva.

Cosa intende dire?

Che non si può pensare che bastino i soldi facili per aumentare la produzione: serve una politica fiscale che passa anche da investimenti infrastrutturali, che nel caso europeo aiutano anche l’integrazione del mercato unico, come spiegato anni addietro da Einaudi. Cioè, l’Europa non si fa tanto con le leggi, quanto con le infrastrutture. Questo fondo dovrebbe servire per finanziare politiche strutturali, accelerandole nei periodi di crisi. Al di là di questi tre aspetti ce n’è un altro certamente dirimente rispetto alla situazione attuale dell’Italia.



Quale?

Il Recovery Fund riguarda il nuovo bilancio europeo (2021-27), quindi ammesso che si faccia, funzioni e si attivi, non arriveranno fondi prima dell’anno prossimo. Non verrebbero risolti quindi i problemi congiunturali del coronavirus, che ha ferito le nostre attività economiche, in particolare commerciali e turistiche. Serve un intervento rapido che non può attendere i tempi del Recovery Fund.

A questo punto diventano importanti le parole di qualche giorno fa del vicesegretario del Pd, Andrea Orlando, a proposito delle risorse per l’Italia: “A un certo punto ci troveremo a scegliere: o aumentiamo le tasse o usiamo gli strumenti europei, tra cui c’è anche il ‘nuovo’ Mes, con circa 37 miliardi per il nostro Paese”.

In effetti, le risorse italiane messe finora in campo non bastano. Il Mes sanitario sembra garantire un tasso di interesse favorevole rispetto a quello di mercato, ma ancora non c’è un’adeguata chiarezza sulla presenza o meno di condizionalità in caso di suo utilizzo. E non è chiaro se non sia possibile, come ho già suggerito, che a ricorrere al Mes siano le Regioni più colpite dall’emergenza sanitaria, piuttosto che enti pubblici come la Protezione civile.

Si solleva a questo punto un problema politico: se si aumentano le tasse, il Governo diventa impopolare; se si vota in Parlamento sul Mes, la maggioranza si spacca…

Certo. C’è però un’alternativa al Mes, anche se costa un po’ di più.

Di cosa si tratta?

Consiste nell’emettere titoli riservati agli italiani con la garanzia di una quota di beni pubblici. Si potrebbe pensare anche a titoli da 500 miliardi con 100 miliardi di collaterali a garanzia. Questo avrebbe due effetti benefici. Facendolo sottoscrivere agli italiani (risparmiatori o fondi pensione), il denaro resterebbe in Italia senza rischi di solvibilità sul mercato, e anche gli interessi più alti, rispetto a quelli del Mes, che si pagherebbero resterebbero nel circuito dell’economia domestica. Inoltre, l’enorme patrimonio pubblico potrebbe essere finalmente più valorizzato, cosa che oggi non avviene con danno per la collettività.

(Lorenzo Torrisi)

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