A settembre parlamento e governo dovranno definire il Recovery Plan, il piano da sottoporre il 15 ottobre alla Commissione europea per l’approvazione dei finanziamenti che saranno distribuiti a partire dall’anno prossimo. Per ora non si sono sentite proposte chiare o anche solo idee dalla maggioranza. Secondo Francesco Forte, ex ministro delle Finanze e per il Coordinamento delle politiche comunitarie, l’Italia deve proporre interventi infrastrutturali per accedere ai fondi per la coesione territoriale e avere un approccio serio sui fondi per il Green Deal, la transizione ecologica. Al momento però il governo non ha nulla sul tavolo, se non gli ecobonus al 110% per la ristrutturazione edilizia. “Il governo elargisce mance, e i 5 Stelle continueranno a bloccare le opere ferroviarie che sono fondamentali anche in un’ottica ecologica. E mi pare che Gualtieri non abbia il controllo del Mef”. Torna in mente il piano di Casalino per eliminare “quei tecnici del Mef” colpevoli di bloccare il reddito di cittadinanza.



Come si sta muovendo l’Italia per la presentazione del Recovery plan alla Commissione europea, il 15 ottobre?

Di sicuro c’è solo che i soldi per le casse integrazioni arriveranno dal Sure. Sul Recovery Fund non mi sembra ci sia un piano. Ci sarebbe quello di Colao, ma è della presidenza del Consiglio e non del ministro dell’Economia, l’unico che ha nella propria burocrazia le competenze specifiche per scrivere il Recovery Plan.



Nell’idea della Commissione Ue, su cosa vanno indirizzati gli investimenti da finanziare col Recovery Fund?

Ci sono due fondi, entrambi di circa 350 miliardi. Uno è il fondo di coesione per le regioni sottosviluppate, l’altro è per la green economy.

Di tutte le proposte finanziabili col Recovery Fund, cosa c’è oggi sul tavolo del governo?

Di fatto c’è solo il bonus edilizia per il 110%, che però non è stato concepito alla luce del Recovery Fund.

Che tipo di interventi potrebbe finanziare l’Italia col fondo di coesione territoriale?

Quel fondo riguarda le aree sottosviluppate, in Italia le regioni meridionali con l’aggiunta di Abruzzo e Lazio. Le questioni più drammatiche da affrontare sono al Sud: la ferrovia che attraversa l’interno della Sicilia e passa per Corleone, così come la ferrovia jonica, da Taranto a Reggio Calabria, sono tratte a binario unico, rendendo lentissimi gli spostamenti e isolando quei territori, che infatti sono in larga parte sotto il controllo della mafia. Il potenziamento di queste ferrovie avrebbe un forte impatto di coesione. Raddoppiare i binari è fondamentale.



Invece, cosa potremmo finanziare con i fondi per la transizione ecologica?

Il fondo Green economy è diviso in due parti: quella dei trasporti vale il 25% del totale, il resto è da spendere sull’economia di mercato. Per quanto riguarda quest’ultima parte, bisogna intervenire sull’Ilva che, come ha detto il commissario olandese Timmermans (che ha la delega al Green Deal nella Commissione, ndr), va portata a produrre acciaio attraverso il gas naturale, che tra l’altro arriva proprio a Taranto. Sapendo in anticipo quanto gas consumiamo possiamo accedere a dei contratti vantaggiosi. L’Ilva è praticamente l’ultimo impianto a carbone in Italia, visto che noi il carbone lo importiamo.

Ci sono delle opere al momento bloccate che potrebbero ripartire coi fondi europei?

Il fondo Green Deal si può usare per far ripartire le opere bloccate dalle analisi costi-benefici del professor Ponti, che non considera la riduzione dell’inquinamento. Penso all’alta velocità, specialmente quella tra Lione e Kiev. In particolare si è bloccata la tratta Brescia-Verona, già autorizzata, finanziata e anche assegnata a Ferrovie dello Stato.

La politica dei 5 Stelle sulle opere pubbliche può cambiare così come sono cambiate le loro convinzioni su altri temi? Penso specialmente alle opere al Sud.

No, perché ci sono le elezioni regionali che andranno male e il Movimento soffre già di forti dissensi esterni. Intanto il Pd è stato trainato nel populismo dal Movimento 5 Stelle.

Da quali provvedimenti governativi lo si evince?

Da politiche che io chiamo populiste di sinistra: si alzano soltanto le spese correnti senza un piano volto al benessere, come invece accadeva nel vecchio modello scandinavo. Si punta solo ad aumentare i bonus, le mance. È simile al populismo di Achille Lauro, che regalava la scarpa sinistra prima delle elezioni, e la destra dopo.

Il governo è rientrato in autostrade, in Ilva, in Alitalia. Come valuta queste scelte, da più parti accusate di dirigismo economico?

Dietro queste politiche c’è una critica di fondo dell’economia di mercato, sospettosa dell’utile in sé. Per i 5 Stelle esiste un pensiero etico superiore secondo cui loro cambiano le cose, anche retroattivamente, perché prima “non erano giuste”. È il populismo di cui parlava Ortega y Gasset, dove la legge smette di essere giusta in quanto esiste. I grillini negano la certezza del diritto, fondamentale per chi investe. E ci portano al Venezuela.

Ci sarà il rimbalzo economico che ha annunciato Gualtieri?

In parte sì, ma dobbiamo capire di quanto. Il ministro Gualtieri non ha esperienza gestionale di bilanci pubblici, e non ho l’impressione che la sua burocrazia lavori per lui. È una persona intelligente e moderata, ma all’università si è occupato principalmente di Gramsci. Scelta che apprezzo, ma che non gli dà conoscenza tecnica del bilancio pubblico. Infatti non ha presa su un ministero enorme, che ha dentro le competenze fiscali, monetarie (tesoro) e gestionali (bilancio).

Con l’Unione Europea però Gualtieri sembra avere un buon rapporto.

Quello ce l’ha sicuramente. Però viene da sinistra, una fazione che dentro l’Unione Europea ora non va molto bene. E poi sconta una diffidenza culturale da parte di Germania, Austria, Olanda. Non riguarda Merkel e Von der Leyen, ma gli altri politici di questi paesi.

È colpa loro o colpa nostra?

Sono i nostri politici che non agganciano la loro mentalità. A partire dalla green economy: in Italia non esiste una filosofia verde della vita, per noi il green è un accessorio come un monopattino, la bicicletta. Ci manca una concezione globale.

Quindi il nostro è un problema di rappresentanza politica?

L’Italia è piena di risparmiatori che ragionano come i risparmiatori tedeschi, ma i nostri rappresentanti danno l’idea di un paese di sprechi e debolezze di bilancio. Penso alla Lega: Salvini dà un’immagine diversissima da Zaia, che rappresenta le realtà produttive. Lo stesso vale a sinistra con politici come Gualtieri e Zingaretti, che in Europa destano sospetto.

Riguarda solo la politica?

C’è una crisi generale della rappresentanza in Italia, che riguarda anche i sindacati: Cisl e Uil sono ormai fatti prevalentemente di pensionati. E la Cgil è lontana dai tempi di Trentin, quando c’era un’anima di contestazione e una di conciliazione: gli manca il concetto che il sindacato non rappresenta i lavoratori o le masse che scioperano, ma gli interessi dei lavoratori.

(Lucio Valentini)