“Tanto tuonò, che piovve”, recita un proverbio. Me ne viene in mente un altro, pensando al “Next Generation Eu”, noto soprattutto come Recovery Fund: “La montagna ha partorito un topolino”. Qui, al contrario, dopo tanto tuonare, non si vede nemmeno una goccia e dalla montagna rischiamo di non avere nemmeno il topolino.
Eh sì, perché la Coste Costituzionale tedesca, riunita a Karlsruhe, sollecitata da un ricorso di cittadini, imprenditori e avvocati tedeschi, si è espressa con un giudizio tranciante che impedisce al Presidente tedesco Altmaier di porre la sua firma al piano per il Recovery Fund, che a questo punto appare inattuabile, non solo per il peso della Germania, ma perché lo sforzo finanziario è sulle spalle del bilancio europeo, per il quale occorre l’unanimità.
La decisione della Corte, che in punta di diritto appariva scontata, politicamente non lo era. Ora però c’è e il suo peso è indiscutibile, anche perché si appoggia su un precedente ricorso, arrivato a sentenza in agosto dello scorso anno, che già poneva dei paletti precisi. In quella sentenza, sempre sul Recovery Fund, si ammetteva la possibilità di quel fondo e del relativo impegno finanziario, a patto però che fosse correttamente finanziato e coperto, cioè con adeguate tasse, cosa piuttosto difficile da proporre politicamente soprattutto in Germania. Ve lo immaginate un qualsiasi Governo che propone un innalzamento delle tasse per coprire finanziamenti che vanno in Italia?
Ora invece il problema si è spostato: il Recovery Fund è stato “fermato” dalla Corte Costituzionale tedesca perché non si può determinare quanto costerà: se infatti da un lato i soldi devono essere restituiti (tutti, anche quella parte detta falsamente “a fondo perduto”), dall’altro se la restituzione non avviene il mancato pagamento dovrà venire coperto dagli altri Paesi dell’Unione europea.
Qui non è nemmeno in discussione l’affidabilità dell’Italia; qui il problema è la categoria della possibilità, che rende il costo del Recovery Fund indeterminabile in partenza. Quindi la Corte Costituzionale tedesca non ha potuto far altro che accogliere il ricorso e bloccare il processo di ratifica del Recovery Fund.
Vengono in mente le parole di Di Maio a luglio dello scorso anno, dopo un estenuante vertice europeo di quattro giorni, a termine del quale esclamò raggiante: “Abbiamo i 209 miliardi”. E al coro di soddisfazione si aggiunse il premier Conte, la tedesca Angela Merkel, il Presidente del Consiglio europeo Charles Michel. Tutti raggianti, un successone, l’Europa c’è, l’Europa si muove, l’Europa è unità, eccetera eccetera.
Ma già allora vennero fuori le prime obiezioni: occorre l’unanimità, cosa per nulla banale, visto che si dovevano ancora precisare per cosa si sarebbero dovuti investire i 209 miliardi. La “lista della spesa”, molto confusa e piena di progetti slegati, ci mise altri sei mesi per vedere la luce., così come le indicazioni europee sui settori nei quali investire. E già si ipotizzava l’arrivo dei primi soldi in primavera 2021, o forse entro l’estate. Ora siamo a fine marzo e dei miliardi finora non c’è traccia. Anzi, è arrivata la decisione della Corte tedesca che come minimo allungherà di molto i tempi.
In altre parole, se mai arriveranno, questi soldi si potranno utilizzare quando l’economia italiana sarà già nel baratro e ogni ripresa sarà impossibile. E visto che i settori principali beneficiari di questi investimenti saranno quello tecnologico e quello per la transizione ecologica, è facile immaginare come andrà a finire: la gran parte degli investimenti riguarderà il nord Italia, il più produttivo e tecnologicamente avanzato. Invece quei soldi non potranno essere utilizzati per abbassare le tasse, per la scuola, per la sanità o per le tantissime piccole imprese familiari del centro sud. Per tutte queste, dopo la chiusura per fallimento, provocata dai tanti inconcludenti lockdown, non ci sarà nulla. E il Paese sarà più spezzato che mai, economicamente e socialmente.
Se finirà bene, come credo e spero (il genio italico alla fine prevarrà nonostante le mille difficoltà) non sarà per merito del Recovery Fund, né grazie all’Europa.
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