Mentre la maggioranza va in fibrillazione non solo sulla riforma del Mes, ma anche sulla struttura di governance delle risorse che il nostro Paese riceverà dal Recovery fund, che resta ancora sotto minaccia di veto da parte di Ungheria, Polonia e Slovenia, Gustavo Piga, professore di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma, ricorda che solamente i circa 81 miliardi a fondo perduto in arrivo dall’Europa verranno utilizzati per nuovi investimenti pubblici, “perché non fanno aumentare il deficit e sono quindi attraenti per un Governo che teme molto di indebitarsi ulteriormente”.

E gli oltre 127 miliardi di euro a prestito?

Verranno presi e utilizzati per spese correnti o in conto capitale, quindi non per nuovi investimenti pubblici, ma al massimo per finanziare quelli già previsti senza emettere nuovi titoli di stato e ottenendo quindi un piccolo risparmio di spesa per interessi. Teniamo presente che secondo il quadro tendenziale contenuto nella Nadef ci sarà un aumento degli investimenti pubblici di circa 6 miliardi di euro, lo 0,3% del Pil, una bazzecola.

In questo modo si eviterà però di aumentare ulteriormente il rapporto debito/Pil…

Guardi, non è sempre detto che prendendo soldi in prestito e spendendoli il rapporto debito/Pil cresca ulteriormente, perché se è vero che aumenta il numeratore, bisogna vedere cosa succede al denominatore. In questo senso sia la Banca d’Italia che l’ex Segretario al Tesoro Usa Larry Summers hanno evidenziato che le risorse utilizzate per investimenti pubblici con gare di appalto fatte bene facilitano la discesa del rapporto debito/Pil, perché il denominatore cresce più del numeratore. Inoltre, c’è un altro aspetto, che deriva dalla costruzione europea, da tenere presente rispetto alle risorse del Recovery fund.

A che cosa si riferisce?

Il Governo prendendo questi soldi, esattamente come farebbe nel caso del Mes, si obbliga, in nome delle regole attuali europee, a ridurre fortemente il deficit. Nella Nadef si prevede di passare dall’attuale 10% del Pil al 3% nel 2023, portando l’attuale disavanzo primario dal 7% del Pil allo 0%. È vero che parte di questa riduzione deriva da un miglioramento del ciclo economico, ma se guardiamo al deficit strutturale, corretto quindi per il ciclo economico, si parla di una riduzione del 3% in tre anni, pari a circa 50 miliardi di euro, guarda caso una cifra che va quasi a coincidere con le sovvenzioni, cioè i trasferimenti a fondo perduto, che riceveremo dall’Europa nei primi tre anni. Quindi se con un mano l’Europa dà, con l’altra toglie, perché ci obbliga a fare qualcosa che non dovremmo fare.

Cosa dovremmo fare invece?

Restare con il deficit/Pil al 7% nei prossimi tre anni, evitando quindi una riduzione di spese e un aumento delle entrate via tasse in un momento drammatico come quello attuale, aiuterebbe molto un Paese assetato di crescita. Trovo non sia un caso però che il Governo abbia messo quei due “numeri magici”, il 3% di deficit/Pil e il pareggio di bilancio primario, per il 2023 nella Nadef.

Che cosa intende dire?

Si tratta di numeri che mandano un messaggio molto chiaro all’Europa sull’obbedienza del nostro Paese alle regole del Fiscal compact.

Cosa c’entra il Fiscal compact con il Recovery fund?

Il Recovery fund, e ancora di più il Mes, sono di fatto come due colonnelli che rispondono a un solo generale: il Fiscal compact, che continua a determinare la politica fiscale europea nonostante siano passati otto anni dalla sua approvazione e non sia stato integrato all’interno dei Trattati dopo una “prova” di cinque anni come stabilito nel 2012. Finché non ce ne libereremo avremo strumenti che ruotano intorno alla stessa logica e che non sono in grado di aiutare realmente il nostro Paese. Di fatto, quindi, nei prossimi tre anni, coi fondi europei riusciremo ad avere un manovra neutrale, cioè riceveremo una cinquantina di miliardi e ridurremo il deficit dello stesso importo di nostra sponte.

Perlomeno non sarà una manovra recessiva…

Certo, ma in un momento drammatico come quello attuale l’Italia avrebbe bisogno di una manovra ultra-espansiva. Ci basterebbe mantenere il deficit/Pil al 7% per dare il massimo potenziale ai fondi che arriveranno dall’Europa. Ora si tratta di fare in modo che quanto meno queste risorse riescano a produrre un effetto neutrale e non recessivo. Vanno quindi spese in maniera efficace, con investimenti addizionali tramite gare fatte bene che identificano immediatamente senza ricorsi un vincitore capace di portare a termine quanto richiesto dalla gara, quindi serviranno opportune verifiche. Prima ancora è però fondamentale selezionare con cura i settori in cui effettuare questi investimenti.

Da questo punto di vista cosa consiglierebbe?

Anzitutto, come mi pare abbia capito anche il premier Conte, stando a quanto ha detto in una recente intervista a Repubblica, non bisogna procedere chiedendo progetti dal basso, evitando in tal modo la dispersione dei fondi in mille rivoli scoordinati che ne ridurrebbe l’impatto positivo. Le indicazioni europee parlano di investimenti green e per la digitalizzazione. Io spero si capisca che la sostenibilità passa anche dall’edilizia verde, dall’adeguamento degli edifici pubblici, come le scuole, alle norme anti-sismiche, dagli interventi per contrastare il dissesto idrogeologico. Certo la banda larga è importante, ma facendo ripartire l’edilizia, che ha patito molto in questo periodo, si interverrebbe laddove c’è stato un forte calo occupazionale e c’è più fragilità sociale. Sarebbe in questo senso un intervento migliore del reddito di cittadinanza, che non è riuscito a creare opportunità di lavoro.

(Lorenzo Torrisi)