Secondo i due giuristi Marco Dani e Agustín José Menéndez (Università di Trento e Università Autonoma di Madrid) quanto avvenuto nella settimana appena conclusa in Europa potrebbe cambiare per sempre il destino dell’Unione: l’accordo sul Recovery Fund, mentre i singoli Paesi si apprestano a preparare i piani di rilancio entro ottobre, può avere il netto rischio di un conseguente commissariamento “dietro” la ricezione dei fondi europei anti-Covid. Nel paper pubblicato sul portale “Costituzione.info” i due giuristi si soffermano non tanto sul lato economico dei 750 miliardi di euro che verranno stanziati per creare il debito comune, ma sulle conseguenze istituzionali e sui rischi dietro ai vincoli immessi dalle 68 pagine di conclusioni prodotte dal Consiglio Europeo: «Spetterà infatti agli stati membri elaborare dei recovery and resilience plans, ovvero dei programmi di investimento che saranno approvati dal Consiglio a maggioranza qualificata; l’attuazione di questi programmi sarà monitorata periodicamente attraverso una procedura che, in virtù del meccanismo del cosiddetto “freno di emergenza”, potrà coinvolgere il Consiglio europeo».



IL RISCHIO COMMISSARIAMENTO PER L’ITALIA

È infatti nei controlli e nei rigidi vincoli che saranno imposti all’Italia – e a tutti gli altri Paesi che vorranno credere ai miliardi del Recovery Fund – che può “nascondersi” secondo Dani e José Menéndez il vero e proprio commissariamento da Bruxelles: non si tratta solo di un controllo “coerente” sui piani presentati, spiegano ancora i giuristi, «agli stati non sarà chiesto solo di elaborare progetti di politica economica e industriale diretti a rafforzare la crescita economica; assieme a questo si esigerà, pena la sospensione dei finanziamenti, l’attuazione di una serie di riforme strutturali».



Dal taglio delle spese a nuove tasse, dalla liberalizzazione del mercato del lavoro fino a riforme più specifiche su sanità e pensioni: per questo il forte rischio è che «per un periodo medio-lungo andremo a votare non per scegliere tra indirizzi politici alternativi, ma per individuare i partiti o le coalizioni incaricate di attuare decisioni in larga misura preconfezionate a Bruxelles, in un processo dove la Commissione e gli stati “creditori” avranno una influenza decisiva». Nella visione assai critica nelle misure del Recovery Plan accordate nel Consiglio Ue, concludono i due studiosi, il debito comune creato è certamente una novità positiva che però rischia di venire “travolto” dalla volontà rigida della Commissione Europea di imporre una legislazione “obbligata” negli anni post-Covid.



«Invece di democratizzare l’Unione si corre il rischio di compiere un ulteriore passo in direzione dello svilimento dei circuiti democratici nazionali», spiegano i giuristi intravedendo nel ruolo di autonomia del Parlamento Europeo l’unico argine al rischio commissariamento «Il Parlamento europeo ha già fatto capire che non si limiterà a fare il copia-incolla delle decisioni del Consiglio europeo e che, in virtù del proprio ruolo di co-legislatore, intende giocare un ruolo da protagonista». Secondo Marco Dani e Agustín José Menéndez è giusto che vi siano delle condizioni poste dai Paesi che prestano fondi ed è legittimo verificare che vengano rispettate, «riteniamo molto discutibile invece che questi sussidi siano il pretesto per interferire su materie sulle quali l’Unione europea non è competente (pensioni, scuola, sanità, servizi sociali)».