Poche settimane fa, è apparsa sui quotidiani la notizia di una sentenza della Corte Costituzionale (Sentenza n. 131, anno 2020) relativa alla possibilità che le “Cooperative di comunità” possano essere coinvolte in attività regionali di progettazione, programmazione e accreditamento, come avviene per gli Enti del Terzo settore. Tema di per sé abbastanza tecnico, per il quale il presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato la questione di legittimità costituzionale nei confronti di un provvedimento della Regione Umbria; questione peraltro risolta dalla Corte a favore di quest’ultima e del coinvolgimento delle Cooperative. Al di là del merito specifico, la sentenza è però decisiva per quanto concerne il disegno e la governance del sistema di welfare del nostro Paese. Lo è perché totalmente fondata sulla riaffermazione del valore costitutivo e costituzionale della sussidiarietà orizzontale, con una profondità e una modernità di visione, che ne fanno un punto di riferimento per le sfide sociali ed economiche che dovremo affrontare nel prossimo futuro, a partire dalla ricostruzione durante e post Covid.



La sentenza innanzitutto ristabilisce il principio di sussidiarietà orizzontale come “asset” fondativo storico e giuridico dello sviluppo del welfare italiano. E non si tratta di un passaggio irrilevante, in un contesto ideologico e burocratico che tende a “sopportare”, più che a stimare, l’azione dei corpi intermedi, e a vederne la necessità come conseguenza dell’inefficienza statale, invertendo il senso del principio di sussidiarietà. Basti pensare alla recente polemica sui fondi per le scuole paritarie, da più soggetti politici immaginati solo per la fascia di età 0-6 anni, cioè per asili nido e scuole per l’infanzia, servizi lasciati in gran parte scoperti da parte delle istituzioni, largamente inadempienti rispetto alle indicazioni europee. La sentenza è inequivocabile, nel ribaltare la prospettiva:



« […] le relazioni di solidarietà sono state all’origine di una fitta rete di libera e autonoma mutualità che, ricollegandosi a diverse anime culturali della nostra tradizione, ha inciso profondamente sullo sviluppo sociale, culturale ed economico del nostro Paese. Prima ancora che venissero alla luce i sistemi pubblici di welfare, la creatività dei singoli si è espressa in una molteplicità di forme associative (società di mutuo soccorso, opere caritatevoli, monti di pietà, ecc.) che hanno quindi saputo garantire assistenza, solidarietà e istruzione a chi, nei momenti più difficili della nostra storia, rimaneva escluso.



Nella suddetta disposizione costituzionale […] si è quindi voluto superare l’idea per cui solo l’azione del sistema pubblico è intrinsecamente idonea allo svolgimento di attività di interesse generale e si è riconosciuto che tali attività ben possono, invece, essere perseguite anche da una «autonoma iniziativa dei cittadini» che, in linea di continuità con quelle espressioni della società solidale, risulta ancora oggi fortemente radicata nel tessuto comunitario del nostro Paese. Si è identificato così un ambito di organizzazione delle «libertà sociali» (sentenze n. 185 del 2018 e n. 300 del 2003) non riconducibile né allo Stato, né al mercato, ma a quelle «forme di solidarietà» che, in quanto espressive di una relazione di reciprocità, devono essere ricomprese «tra i valori fondanti dell’ordinamento giuridico, riconosciuti, insieme ai diritti inviolabili dell’uomo, come base della convivenza sociale normativamente prefigurata dal Costituente» (sentenza n. 309 del 2013). […] Tali elementi sono quindi valorizzati come la chiave di volta di un nuovo rapporto collaborativo con i soggetti pubblici […].».

Ma il passaggio per certi versi più interessante e innovativo è il seguente:

«Gli ETS [Enti del Terzo Settore, NdA], in quanto rappresentativi della “società solidale”, del resto, spesso costituiscono sul territorio una rete capillare di vicinanza e solidarietà, sensibile in tempo reale alle esigenze che provengono dal tessuto sociale, e sono quindi in grado di mettere a disposizione dell’ente pubblico sia preziosi dati informativi (altrimenti conseguibili in tempi più lunghi e con costi organizzativi a proprio carico), sia un’importante capacità organizzativa e di intervento: ciò che produce spesso effetti positivi, sia in termini di risparmio di risorse che di aumento della qualità dei servizi e delle prestazioni erogate a favore della “società del bisogno”.».

I termini usati nel testo (“rete”, “tempo reale”, “dati informativi”, “capacità organizzativa e di intervento”, “società del bisogno”) catturano e valorizzano la sussidiarietà orizzontale in una prospettiva del tutto nuova, cioè come elemento centrale di un “sistema cooperativo” costituito da soggetti istituzionali e sociali orientati al bene comune, in società ad alta complessità. Storicamente, il tema della sussidiarietà orizzontale si è posto (giustamente) in termini di difesa della libertà e dell’autonomia dei corpi intermedi e come conflitto con il progressivo espandersi del ruolo dello Stato nella società. Successivamente, esso ha coinvolto gli aspetti di efficienza ed efficacia, aprendo a logiche di mercato e quasi-mercato per i servizi alla persona. Oggi la Corte ci fa capire che la complessità e la dinamicità delle società moderne hanno bisogno di un’alleanza strutturale tra istituzioni e corpi sociali e che la sussidiarietà orizzontale è il metodo di questa alleanza. In questo senso la sentenza non si limita a sottolineare un aspetto giuridico, ma in qualche modo entra nel merito del “funzionamento” di un sistema sociale moderno, orientato al bene comune.

L’emergenza pandemica ha mostrato, a livello macroscopico, come la nostra epoca sia caratterizzata dal “cambiamento continuo”: dinamiche locali che diventano globali, innovazioni tecnologiche che producono effetti imprevedibili nei processi economici e nei percorsi lavorativi, globalizzazione e finanziarizzazione che hanno impatti sulle politiche interne dei Paesi e si riflettono sui singoli individui, spesso precarizzandone i percorsi di vita, emersione di nuovi bisogni e crescita della complessità delle nostre società, in termini culturali, valoriali, economici…

Governare società attraversate da incertezza e imprevedibilità richiede innanzitutto la capacità di “rendersi conto” della realtà e di farlo in modo tempestivo, sia per rispondere al bisogno che si incontra, che per fornire quadri interpretativi a chi deve definire gli indirizzi e i criteri di valutazione delle politiche. Serve poi una capacità di risposta che incontri il bisogno a partire dal modo in cui esso si pone, senza inserirlo in schemi astratti, fatti esclusivamente di norme e protocolli. E serve naturalmente una capacità di governo di alto livello, che fornisca un quadro istituzionale in grado di sostenere, valutare, indirizzare e sviluppare questi processi. È quello che la sentenza implicitamente suggerisce e prefigura: un sistema cooperativo, basato sulla condivisione di obiettivi, informazioni e responsabilità, secondo le differenti prerogative, capace di una relazione costante, intelligente ed efficace con la “società del bisogno”. Così, la sussidiarietà orizzontale non è valorizzata solo come uno strumento per la realizzazione di “azioni sociali” efficaci, ma è indicata come condizione e fondamento per la governance che le istituzioni sono chiamate a fare.

Una governance “adattativa” e “policentrica”, dove la possibilità che la digitalizzazione offre di generare e condividere informazioni consente di separare le responsabilità di alto livello, dall’azione specifica sul bisogno particolare, senza soffocare i corpi sociali in una burocrazia astratta e mantenendo comunque le giuste leve di governo. Le mense della Caritas o i Banchi di solidarietà non sono solo il luogo in cui si risponde al bisogno della povertà alimentare, ma anche i primi “sensori” in grado di registrare come la povertà cambi, si estenda e coinvolga nuovi strati di popolazione. La rete del Terzo settore è “l’internet del bisogno” e le istituzioni devono curarla e rafforzarla, imparando a conoscere e governare attraverso e con essa.

Che questo rappresenti una sfida critica per l’Italia è sotto gli occhi di tutti. Da una parte, un sistema istituzionale e burocratico in difficoltà nel (e spesso poco interessato a) leggere i segni della realtà e le differenze territoriali e incapace di agire in tempi compatibili con la velocità dei fenomeni e dei bisogni. Lo si è visto nell’inadeguatezza del sistema di dati e informazioni sul Covid, nella scelta di governare in modo omogeneo aree del Paese differenti, nella farraginosità dei provvedimenti di sostegno e rilancio per imprese e lavoratori… Dall’altra, un Terzo settore che si è mosso con tenacia e rapidità, “innervando” la società italiana della propria capacità operativa, ma sempre visto come “esercito della salvezza” e non come “partner” del bene comune. In mezzo, tutta la difficoltà, sia delle istituzioni che dei corpi sociali, a immaginarsi come “sistema” e a costruire assetti normativi e strumenti operativi che realizzino una vera governance cooperativa, per lo sviluppo sostenibile della nostra società.

Se quanto concordato nel recente vertice europeo si concretizzerà nel flusso di miliardi previsto, siamo di fronte a un’occasione epocale di “ristrutturazione” del sistema Paese. Ma questo richiede di avere una visione di ciò che vogliamo il Paese diventi. I vincoli europei renderanno più difficile usare finanziamenti e prestiti per provvedimenti opportunistici, assistenziali e di rafforzamento del proprio mercato elettorale o disperderli in rivoli che soddisfino le richieste di una miriade di soggetti abituati “all’incentivazione permanente”. Dobbiamo investire in riforme strutturali, ma secondo quale modello?

Possiamo inseguire idee di sviluppo ideologiche, dirigiste e corporative, oppure possiamo creare le condizioni per “scatenare” le energie del Paese e riconoscere, insieme alla Corte, che solo un sistema sussidiario e cooperativo tra istituzioni e capitale sociale può fondare un sistema in grado di generare nel tempo, e in modo sostenibile, benessere personale, sociale ed economico. Lo Stato deve investire in infrastrutture (materiali e digitali) efficienti e rifondare i processi amministrativi e di governance dei propri sistemi fondamentali (giudiziario, sanitario, scolastico, del lavoro…), con l’obiettivo principale di creare le condizioni per lo sviluppo di una società viva, che esca dalla depressione che il Censis registrava nel rapporto del 2019, sostituendo il legalismo normativo con la capacità di indirizzo, il controllo burocratico con la capacità di valutazione, il dirigismo inefficiente con la sussidiarietà.

Il prossimo futuro sarà in larga parte occupato dal dibattito sui progetti da sottoporre alla verifica europea, per avere accesso ai finanziamenti. Qui si gioca la partita sul modello di ristrutturazione del Paese e sul benessere delle prossime generazioni: è l’occasione storica per una Rivoluzione sussidiaria. In nome della Costituzione.