Il bravo e informato collega del Mattino Marco Esposito scopre e scrive che grazie al cattivo stato di salute economica del Mezzogiorno e alle sue scarse performance, l’Europa ha destinato all’Italia, nell’ambito dell’ormai famoso Recovery fund (o Next Generation EU), ben 135 miliardi sui 209 complessivamente promessi. Insomma, a determinare l’ammontare della dote finanziaria che dovrebbe sostenere il rilancio del Paese dopo la mazzata del Covid più che la capacità negoziale del governo e del suo capo Giuseppe Conte sono il deprimente stato in cui versa il Sud e il conseguente e persistente divario nei confronti delle regioni del Nord.



Non proprio una buona notizia. Perché, sì, a vedersi certificare così la propria povertà (a dispetto della pretesa di averla abolita per il tramite del reddito di cittadinanza) non dovrebbe far piacere a nessuno anche se è proprio questo handicap a legittimare la pretesa a poter beneficiare della maggior parte della torta.



Il Mezzogiorno, dunque, da contenitore di guai si trasforma in catalizzatore di risorse. La bassa ricchezza pro capite e l’alta disoccupazione, soprattutto giovanile, sono gli argomenti cardine per fare del nostro Paese il primo assegnatario di fondi comunitari, in parte sotto forma di regalo e in parte concessi a prestito.

Ora, appare evidente che ci si trovi di fronte a un interrogativo al quale non si può sfuggire: come potrà una comunità politica, amministrativa e sociale sprofondata così in basso (nelle ultime posizioni delle classifiche europee) a ben utilizzare l’ingente massa di risorse che dovrebbero presto abbattersi su di lei?



Il principio della coesione (in tutti i suoi significati) e del relativo recupero della distanza esistente tra le parti di un Paese che resta tra i più polarizzati del mondo (di sopra il reddito più alto, di sotto il più basso), impone naturalmente d’investire in maniera massiva dove più ce n’è bisogno. E qui s’incontrano grossi nodi che bisogna dipanare al più presto perché penuria strutturale e incapacità di gestione sono tragiche facce della stessa medaglia. Basta gettare uno sguardo sui risultati della spesa dei fondi strutturali per rendersi conto che la maggior parte di essi sono mal o non utilizzati.

La preoccupazione è comprensibile. Quali garanzie ci sono che la generosa dote finanziaria non verrà sprecata? Perché un ceto dirigente responsabile della retrocessione continua dovrebbe diventare vincente all’improvviso? Quale molla dovrà scattare perché questa ennesima ultima occasione non venga sprecata?

È vero, la narrazione corrente dice che dovrà essere il Paese intero a mobilitarsi per il successo del programma di recupero mettendo in campo le sue energie e intelligenze migliori. Anche in questo caso, però, qualche perplessità è consentito avanzarla perché non è che proprio brilli il quadro nazionale.

Forse toccherà lucidare e riportare in auge il vecchio Stellone messo in soffitta troppo presto nella pretesa di saper far da soli, senza bisogno della fortuna che da sempre assiste l’Italia. Ma dovremmo rispolverare anche l’audacia che della fortuna è intima compagna (tra di loro c’è un affetto stabile).

L’audacia, che è una virtù, non è per tutti. Presa male diventa avventatezza e da cosa buona diventa cattiva. Risulta perciò di nevralgica importanza accordare la propria fiducia alle persone giuste. Sono le persone a inverare idee e progetti. Diamo forza a quelle che meritano il nostro sostegno.