Anche nei bar si parla, con speranza, del Recovery fund (209 miliardi di euro per l’Italia), del Mes sanitario (Meccanismo europeo di stabilità per la sanità, 36 miliardi di euro), del Sure (“Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency”, 4 miliardi di euro per l’Italia – Fondo europeo per i lavoratori e per le imprese in difficoltà occupazionale).
Le cifre sono ingenti, mai viste prima d’ora, e sono “tanta roba”. E il Terzo settore? E le imprese sociali? Nel Pnrr (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che è lo spin off operativo italiano del Next Generation Eu che è stato approvato nel Consiglio Europeo del 21 Luglio 2020) nessuno ne parla, anche se tutti sanno che è indispensabile come “cinghia di trasmissione” fra i vari attori di questi investimenti. L’investimento ha bisogno di strutture portanti che interfacciano il bisogno-domanda dei cittadini.
Per il Terzo settore c’è un pericolo: la narcosi da “piatto ricco mi ci ficco” (vedi poker), che potrebbe bloccare l’indispensabile dinamica del cambiamento verso un management coerente con la sfida dei risultati da raggiungere.
Quindi:
– la grande opportunità è la “messa a terra” della co-programmazione e co-progettazione tra la Pubblica amministrazione e gli enti di Terzo settore (e aggiungo le imprese sociali profit) dell’articolo 55 del Codice del Terzo settore (Legge delega 106/2016). È un’opportunità. Una collaborazione in filiera tra aziende pubbliche, private profit e non profit con la finalità di perseguire risultati di interesse generale della comunità e in piena attuazione al principio costituzionale di sussidiarietà. È uno snodo critico per gli investimenti del Recovery fund, del Mes sanitario e del Sure;
– in termini di narrazione pubblica e convegnistica c’è, sotto traccia, la convinzione concettuale che se si fa sviluppo economico si fa anche sviluppo sociale. Ma è vero anche il contrario. Infatti economico e sociale sono due azioni che, in modo sincrono, sviluppano il benessere della nazione. Che è olistico, cioè sociale ed economico.
Questa progressione “economico-sociale” degli investimenti del Recovery fund, del Mes sanitario e del Sure non si potrà ottenere senza la “filiera sussidiaria” che è un processo di integrazione fra aziende pubbliche, private profit e non profit (e quindi di integrazione di attività) continuo, progressivo e cooperante. In combinazioni diverse e tali da convergere verso risultati (outcome) di produzione di utilità pubblica.
La politica degli investimenti non si può fare senza la filigrana fra pubblico e privato a impatto economico e sociale. Per la ricchezza dell’Italia da gestire in era Covid.
In Italia il protagonista quantitativo e qualitativo del sociale è il Terzo settore, o meglio l’insieme delle imprese sociali non profit. Quindi non si capisce chi presidierà il sociale senza il Terzo settore: solo il pubblico? solo il privato profit?
Se così fosse, la storia ci dice che le percentuali di fallimento sono alte e quindi vale la pena rivedere le strategie operative, coinvolgendo le “imprese sociali non profit” del Terzo settore, che non sono “utili idioti”.