Il Presidente della Luiss Vincenzo Boccia (ex numero uno di Confindustria) e il ministro dell’Università Gaetano Manfredi (già a capo della Conferenza nazionale dei rettori) si sono confrontati in un derby tutto campano in occasione della giornata di avvio del Premio Sele d’oro che da trentacinque anni si celebra alla ripresa settembrina in un paesino del salernitano chiamato Oliveto Citra.



Di che cosa si è parlato? Dell’importanza del capitale umano in relazione a qualunque genere di politica s’intenda adottare per tirare il Paese fuori dalle secche, dotarlo di un piano di riforme e investimenti all’altezza delle aspettative europee, innescare la crescita, spingere in alto l’occupazione, far ripartire la domanda. In sintesi, utilizzare al meglio le opportunità legate alla ripresa post-Covid.



Se l’inferno è lastricato di buone intenzioni dobbiamo stare molto attenti a non caderci dentro perché gli inviti e le promesse a far presto e bene si sprecano senza risparmio. Per effetto di una bacchetta magica – chiamata Next Generation EU e annunciatrice di 209 miliardi di risorse da investire – sembra che d’ora in avanti sarà possibile fare le cose fino a oggi impossibili grazie a una ritrovata collettiva buona volontà.

Dunque, resistendo alle pressioni di un elettorato che chiede in maggioranza di essere assistito e superando la logica dei mille piccoli interventi clientelari, il Governo sarà capace di incanalare gli sforzi del Paese nelle poche e strategiche direzioni di marcia indicate da Bruxelles garantendo al tempo stesso l’approvazione delle riforme in grado di oliare gli arrugginiti meccanismi della macchina statale.



Ma non sarà tutto così semplice e il motivo sta nell’esperienza di tutti i giorni che conferma l’attitudine alla resistenza del genere umano. Le abitudini, soprattutto quelle cattive, non si perdono in un giorno e nemmeno in un anno. E le abilità, anche quelle, per formarsi hanno bisogno di tempo e perseveranza. Insomma, bisogna fortemente volerlo il cambiamento perché questo possa davvero avverarsi.

E dunque non basterà fare sfoggio di slide intelligenti e mettere insieme cervelli fecondi. Perché le buone idee possano tracimare nella società e produrre gli effetti desiderati occorre arare e seminare il campo arido della cultura che tutti dicono di avere a cuore senza tuttavia crederci fino in fondo. Nell’era delle macchine tutto fare e dell’intelligenza artificiale la vera svolta sta nella cura dell’uomo.

Quindi occorre intervenire sulle Istituzioni, sul sistema di regole che sovrintende alla vita organizzata e rende possibile il raggiungimento ordinato degli obiettivi individuali e di gruppo. Anche in questo caso l’armamentario con il quale possiamo agire non è dei migliori. Di più, è diventato così scadente da disincentivare l’impegno di chiunque abbia qualcosa da perdere mentre incoraggia gli avventurieri.

È chiaro che per trasformare l’Italia in un Paese moderno e confidente – amico dei giovani, delle famiglie, delle imprese – occorre operare una nuova rivoluzione copernicana. Con gli strumenti oggi a disposizione, con l’attuale ceto dirigente, con la rassegnazione strisciante che sfocia in un’ampia richiesta di assistenzialismo, difficilmente potremo vincere la partita della vita nostra e dei nostri figli.