È noto, anzi stranoto. Una delle raccomandazioni più frequenti della Commissione europea all’Italia è quella di rendere più efficiente e più efficace la Pubblica amministrazione. È stata rilanciata anche la scorsa primavera e sarà, senza dubbio, uno dei temi da affrontare nel programma di riforme da redigere, e da presentare, all’Unione europea per avere accesso al Recovery and Resilience Fund. Non è probabilmente una riforma che richiede grandi finanziamenti europei, ma da programmare per ottenerne di spessore per altri comparti. Tanto più che da lustri l’Italia non spende gli stanziamenti di fondi strutturali europei che le vengono assegnati e in Europa si è diffusa, a torto o a ragione, l’opinione che ciò dipende dalle carenze della Pubblica amministrazione; in ogni caso le istituzioni europee si devono mobilitare, all’ultim’ora, per dirottarli verso Stati con pubbliche amministrazioni più efficienti della nostra.
All’Italia non mancano esempi di riforma della Pubblica amministrazione. Le due principali sono quelle il cui nome è collegato con due ministri della Funzione Pubblica, Massimo Severo Giannini e Sabino Cassese. In effetti, ciascun ministro della Funzione Pubblica si è intestato una sua “riforma” della Pubblica amministrazione. I risultati complessivi, però, paiono essere deludenti.
Un grande esperto di public management, Massimo Balducci, per lustri professore al Cesare Alfieri di Firenze e consulente del Consiglio d’Europa, ha pubblicato, all’inizio di agosto, un breve saggio in cui argomenta, in modo convincente che “le leggende metropolitane sui dipendenti pubblici parlano di persone poco inclini a lavorare duramente, ma spesso la loro attività risulta più importante di quella privata e, soprattutto, meno remunerata”. La nostra Pubblica amministrazione, conclude Balducci,”necessita di un restyling dei suoi processi, che vada a migliorare diverse aree: dalla scelta e dei dirigenti alle loro funzioni, dagli incentivi economici a quelli ‘psicologici’, dalla selezione del nuovo personale ai percorsi di affiancamento e formazione on the job”.
Il restyling dovrebbe essere il tema conduttore del programma da presentare alle autorità Ue, un restyling basato non su cataloghi di diritti e dei doveri dei dirigenti, su funzionigrammi, su mansionari o simili, ma sui processi e su come snellirli. Il restyling deve essere articolato in un programma con scadenze precise in modo da poter essere oggetto di monitoraggio e controllo anche al fine dell’erogazione dei fondi, che verranno sbloccati e resi disponibili all’Italia in tranches.
Non mancano esempi di finanziamenti internazionali collegati a riforme della Pubblica amministrazione. In particolare, dopo il crollo del muro di Berlino, la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo e anche la Banca mondiale hanno finanziato progetti di riforma della Pubblica amministrazione di gran parte degli Stati dell’Europa centrale e orientale che aspiravano a fare parte dell’Ue. Chi sta redigendo il programma di riforme da presentare ai fini del Recovery and Resilience Fund farebbe bene a studiare l’ampia documentazione disponibile. Vedrà che gli Stati che non sono stati ammessi o quelli che sono stati ammessi “per il rotto della cuffia” (e unicamente per evitare una smacco politico) sono quelli le cui riforme dei processi delle rispettive pubbliche amministrazioni sono state più carenti. Esempi da non seguire.