Il tema degli aiuti europei alla sanità è molto vasto e richiede più di un articolo. In primo luogo, la pandemia ha mostrato a tutti le carenze del Servizio sanitario nazionale (Ssn).

Come ha acutamente rilevato Mario Baldassari in un suo intervento su Il Sole 24 Ore, il 99,7% della spesa sanitaria è veicolato tramite le Regioni tanto che sarebbe più corretto parlare di Servizi sanitari regionali (Ssr) piuttosto che di uno unico nazionale. In effetti, la pandemia ha anche mostrato come i Servizi siano differenti.



Eloquente il raffronto tra quello del Veneto, fortemente imperniato sui medici di base sul territorio, e quello della Lombardia, dove, invece, il modello è grandi complessi ospedalieri, spesso privati in convenzione con il Ssn. Ci sono vantaggi e svantaggi in un modello e nell’altro.

Sarebbe opportuna una riflessione (pubblica e condivisa) sulle varie esperienze ragionali. La preparazione di un programma di miglioramento e riforme alla luce degli aiuti europei potrebbe, anzi, dovrebbe fornirne l’occasione. Invece, a quel che si sa, il ministero della Salute ha presentato una richiesta programma di 70 miliardi (non si sa se condivisa con le Regioni, che pur ne gestiscono ed erogano circa il 98%) dei cui contenuti l’opinione pubblica è stata tenuta all’oscuro. Lo sono anche le professioni mediche, che pur ne sono direttamente interessate. A richiesta d’informazioni, si risponde che il programma “verrà svelato al momento opportuno”. Come si trattasse di un “segreto di Stato” e non di un programma che riguarda direttamente tutti gli italiani.



Il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel), che, secondo la Costituzione, è il consulente istituzionale del Governo e del Parlamento (non lo sono i numerosi comitati e task force che si agitano nei Palazzi romani) sta riflettendo sulla base di note redatte dal consigliere Stefano Biasioli, Past President della Confedir, medico e dirigente di servizi sanitari; basta rivolgersi all’autore per avere accesso ad analisi e proposte. Gli indirizzi email dei consiglieri del Cnel sono pubblici.

In attesa di poter esaminare il programma predisposto dal ministero della Salute, e riservando ad un prossimo articolo ciò che bolle in pentola a Villa Lubin (sede del Cnel), vediamo alcune delle problematiche essenziali emerse negli ultimi mesi.



I dati disponibili non espongono una riduzione della spesa sanitaria complessiva, ma una sua differente distribuzione: in particolare, gli investimenti sono passati dal 3,5% del totale nel 2000 all’1,5% nel 2019 e gli acquisti di beni e servizi sono passati dal 19% della spesa corrente al 30% nel 2019. La forte contrazione degli investimenti è indicativa dell’urgenza di un buon piano di sviluppo in cui si ritorni a spendere in conto capitale per la sanità.

L’aumento della spesa per beni e servizi può avere una di queste due determinanti oppure ambedue: a) l’acquisizione del consenso più con appalti e commesse che con assunzioni; b) l’impiego di nuove costose tecnologie.

Per esperienza personale ricordo che nel 2000 dovetti andare da Roma al San Raffaele di Milano e nel 2005 al Sant’Orsola di Bologna per fare una PET (Positron Emission Tomography, una metodica di diagnostica nucleare per immagini che consente di individuare precocemente i tumori e di valutarne la dimensione e la localizzazione), mentre da alcuni anni non ho difficoltà a fare l’esame nella città in cui vivo.

Questi dati, per parziali che siano, dimostrano che, anche se in termini reali (ossia al netto dell’inflazione), la spesa sanitaria complessiva è aumentata dal 2000 al 2017, per contrarsi negli ultimi due anni di cui si dispongono dati. Occorre mutarne urgentemente la struttura per dare maggior spazio agli investimenti e tenere conto che il progresso tecnologico comporta costi, anche se molto probabilmente, inferiori ai benefici, Prendendo l’esempio della PET: quante patologie cancerose possono essere bloccate se diagnosticate precocemente con risparmi di terapie costose e di vite umane?

Quindi, un programma articolato di spesa, mirato agli investimenti e alle nuove tecnologie, nonché alla stabilizzazione di personale specializzato, è urgente e coniuga due obiettivi degli interventi.

Gli indicatori sulla pandemia dicono chiaro e forte che non si può aspettare. Ciò vuol dire utilizzare i finanziamenti dello sportello “sanitario” del Meccanismo europeo di stabilità (Mes) senza attendere il Recovery and Resilience facility, le cui erogazioni arriveranno, al più presto, nella seconda metà del 2021.

Le resistenze al Mes riguardano soprattutto il timore che vengano successivamente applicate condizioni a carattere macro-economico e di finanza pubblica quali previste nell’accordo Mes (anche se escluse nella deroga relativa allo sportello sanitario quale approvata dai Governatori del Mes). È un timore infondato, perché ciò che fa fede è in ultima istanza quanto scritto nella convenzione/accordo di finanziamento tra Mes e Governo italiano.