L’allarme era stato lanciato pochi giorni fa da circa 500 sindaci dei comuni del Sud Italia: “Mancano tecnici e personale specializzato per gestire le risorse del Pnrr”. Il neo eletto sindaco di Napoli Gaetano Manfredi, per dare un senso alla rivendicazione, utilizza una metafora, “è come fare la Formula uno senza avere la benzina”, per significare che gli 80 miliardi di euro che devono essere spesi nel Mezzogiorno per diverse finalità rischiano di essere in buona parte restituiti all’Unione europea per la mancanza di progettisti, personale amministrativo in grado di gestire le procedure di affidamento, selezionare i fornitori, valutare stati di avanzamento e risultati, rendicontare le spese. Una criticità che va ben oltre le aree del Mezzogiorno, come confermato due giorni fa dal Presidente dell’Associazione dei comuni della Toscana, Matteo Biffoni, sindaco di Prato. 



A quanto pare, in questi mesi ci siamo affannati nel chiedere ingenti risorse a prestito e a fondo perduto alle Istituzioni dell’Ue, tanto da diventare il Paese aderente con più fondi a disposizione risorse, con vincoli annuali di spesa per investimenti pari al doppio di quelli praticati negli anni recenti, ma trascurando la concreta possibilità di renderli operativi.



Nel frattempo lo schema rivendicativo si è riproposto anche in ambito nazionale per la distribuzione delle risorse del Recovery plan, sino a richiedere l’introduzione di vincoli normativi per la destinazione territoriale delle stesse. Tutte cose già viste nel passato, compresa la restituzione di una parte dei finanziamenti non impegnati all’Unione europea. Diversamente dal passato, il rischio non è rappresentato dalla mera restituzione delle risorse non impegnate. La mancata attuazione degli impegni di spesa, può comportare: la sospensione dei finanziamenti per gli stati di avanzamento dei programmi, il ridimensionamento degli obiettivi di crescita economica ritenuti indispensabili per la sostenibilità del debito pubblico, una perdita di credibilità del nostro Paese nella fase della ricostruzione delle nuove regole del Patto europeo di stabilità. 



Il tema è ben noto alle Autorità di governo. Tanto da prevedere la destinazione dell’1,6% delle risorse del Pnrr, circa 1,7 miliardi di euro per gli interventi rivolti a potenziare la governance e per la gestione dei programmi attuativi, con 1,2 miliardi da dedicare all’assunzione di nuovo personale qualificato e alla formazione delle risorse umane. 

Per queste finalità, il ministro per la Pubblica amministrazione Renato Brunetta ha bandito una serie di concorsi, con procedure accelerate, per l’assunzione con contratti pluriennali a termine di 2.800 giovani laureati ed esperti, tra i quali 1.000 da conferire alle amministrazioni locali, e con la promozione di un portale per il reclutamento e la selezione di professionisti esterni da parte di tutte le amministrazioni pubbliche.

L’ottimismo iniziale ha dovuto fare immediatamente i conti con la realtà. I profili richiesti per rimediare le carenze di personale della Pubblica amministrazione sono i medesimi che trovano un difficile riscontro nel mercato del lavoro da parte delle aziende private e per la limitata disponibilità nel mercato del lavoro di laureati nelle materie scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche. In queste condizioni l’offerta di un contratto a termine non riscontra le aspettative di una parte significativa di questi laureati, soprattutto per quelli che hanno in corso esperienze di lavoro.

Queste difficoltà si sono manifestate nella gestione dei primi bandi, suggerendo all’amministrazione di rendere più flessibili i criteri di selezione. Ma un approccio più ragionevole, ovvero una maggiore esternalizzazione delle prestazioni verso imprese specializzate e professionisti (cosa che in buona parte sta già avvenendo nella gestione dei fondi ordinari europei) non sarà sufficiente a rimediare le criticità. 

Nell’ambito della attuazione del Pnrr le Amministrazioni locali sono di fatto chiamate a a svolgere un ruolo di metabolizzazione degli interventi che vengono assegnati a un complesso numero di attori pubblici e privati sulla base di missioni specifiche (ecosostenibilità, mobilità, riciclo, sanità e assistenza, istruzione, lavoro, inclusione) per indirizzarli in una sorta di piano territoriale volto rigenerare il territorio e la qualità delle relazioni economiche e sociali.

Un intervento che non si piò delimitare nella gestione dei procedimenti amministrativi, ma che richiede una combinazione di visione politica e di capacità di coinvolgimento degli attori economici e sociali. Questo percorso deve fare i conti con i ritardi delle politiche del personale accumulati nel corso degli anni 2000, con il mancato ricambio generazionale conseguente blocco del turnover, non accompagnato da adeguati percorsi di mobilità interna e penalizzato dal sottoutilizzo delle potenzialità tecnologiche e dalla bassa produttività. 

Nelle amministrazioni regionali e locali opera in presa diretta il 16% del personale della Pubblica amministrazione, circa 600 mila dipendenti tra i quali poco più di 11 mila dirigenti e segretari comunali, senza tener conto del personale sanitario, dell’assistenza, dell’istruzione, formazione e delle 4.200 società municipalizzate per i servizi locali che fanno riferimento alle stesse amministrazioni. Organizzazioni che sono chiamate a svolgere un ruolo trainante nell’attuazione delle missioni del Pnrr.

Nei prossimi 5 anni è atteso un ricambio di almeno il 10% del personale per motivi di pensionamento, che potrà avvenire nell’ambito di un ripensamento della gestione delle organizzazioni, condizionato dalla digitalizzazione dei processi. Un percorso che deve mettere al centro i bisogni del cittadino come veicolo motore del ripensamento delle amministrazioni pubbliche.

L’appello dei sindaci non va sottovalutato, ma il concorso di nuove professionalità, per quanto necessario, non è sufficiente a rimediare i ritardi. Soprattutto se viene utilizzato come alibi per giustificarli.

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