Nel corso del recente Innovabiomed, a Verona, ho avuto l’opportunità di presentare linee guida, iniziative e risultati della strategia istituzionale di Fondazione Cariverona negli ambiti cruciali dell’innovazione tecnologica e della ricerca scientifica. In entrambi i terreni Cariverona ha sviluppato impegni importanti.



Fra il 2017 e il 2021 sono stati erogati complessivamente quasi 17,5 milioni di cui 7,6 nel segmento biomedico. Qui è spiccato il progetto “ENACT / Conoscerlo per sconfiggerlo. Alleanza contro COVID-19” cofinanziato dalla Fondazione con oltre due  milioni di euro a favore di un team di ricercatori multidisciplinari dell’Università di Verona.



A fianco dei tradizionali interventi di sostegno alla ricerca di base e applicata, per il sostegno della crescita e dello sviluppo dei territori di riferimento e del tessuto imprenditoriale che lo connota, la Fondazione sta promuovendo e sollecitando percorsi di innovazione aperta e collaborativa (open innovation) mettendo in connessione esigenze e bisogni di innovazione delle piccole e medie imprese con le potenziali soluzioni offerte dalle migliori start up nazionali.

In questo contesto si colloca centralmente il programma Foundation Open Factory promosso in via sperimentale dalle Fondazioni Cariverona, Caritro e Cariparo nel biennio 2020-2021 con la partnership tecnica del Consorzio Elis di Roma. Il programma FOF è giunto ora alla seconda edizione dopo i positivi risultati riscontrati nell’edizione pilota con lo sviluppo di 11 progetti di co-innovazione che hanno visto l’azione sinergica e collaborativa di Pmi, start up, junior talent, facilitatori e project manager di Elis o di venture partner.



La digitalizzazione come leva per la formazione e l’utilizzo più efficiente ed efficace di capitale umano di qualità: è il drive che Cariverona ha posto al centro della sua intera azione strategica. La transizione tecnologica – nondimeno – è il passaggio peculiare e decisivo che sta affrontando il sistema sanitario in un frangente difficilissimo: l’uscita dall’emergenza pandemica (non ancora superata) in una fase di grave crisi geopolitica con ripercussioni forti e impreviste sull’economia e sulle finanze pubbliche. Delle preoccupazioni di tutti – in particolare esponenti politici o alti burocrati – si sono colti echi problematici in una sede come Innovabiomed: con accenti che certamente rispecchiano la drammaticità del momento, ma non ancora una volta non riescono ad opporvi lucidità e razionalità.

Si sono uditi gli appelli di sempre – “Investire nella sanità” – ma senza operare valutazioni e indicare scelte puntuali. Nessuno discute che le applicazioni digitali – in modo precipuo quelle legate allo sviluppo dell’intelligenza artificiale – siano la via maestra per modernizzare il sistema sanitario: assimilando in fretta le lezioni (spesso dure) imposte dall’emergenza. Non tutti però sembrano disposti ad accettarne quelle che appaiono le principali.

La prima è – ancora una volta – la necessità di re-investire nel capitale umano della sanità: nelle persone, in quelle di cui la crisi-Covid ha messo alla prova la professionalità e la motivazione. Parlo certamente dei colleghi medici, ma assai più del personale infermieristico: di cui è emerso in misura definitiva il pauroso gap. Nelle strutture sanitarie italiane mancano anzitutto paramedici: ben preparati, costantemente formati, correttamente responsabilizzati e motivati, anche sul piano retributivo. Soprattutto mancano paramedici “4.0”: nativi digitali nel biomedicale, capaci di estrarre tutto il valore che l’innovazione genera nelle nuove tecnologie.

Un profilo critico distinto anche se collegato riguarda la corsa a investire su megaospedali: costosissimi ma progettati sui bisogni stimati al ribasso. È in questo “format” che tutte le responsabilità vengono ancora sovraccaricate sui medici e che investimenti tecnologici non corretti frenano lo sviluppo di una rete equilibrata ed efficiente di raccolta e circolazione dati fra le strutture centrali e quelle sul territorio. Invece i flussi di dati – oggi “augmented” in quantità e qualità mai prima sperimentati – sono il fattore strategico essenziale attorno al quale ricostruire la sanità.

Restano certamente in agguato esponenti politici e tecnocrati pronti a svuotare gli ospedali di strumenti e di personale con tagli indiscriminati. Non era necessario il Covid per apprendere che ogni anno, in inverno, gli ospedali sono sistematicamente in crisi per i ricoveri massicci di anziani colpiti da malattie ordinarie da raffreddamento: che mettono in tensione i reparti di pronto soccorso, le strutture di ricovero, incluse quelle specialistiche, introducendo enormi bias nel loro funzionamento. È così che la sanità nazionale torna a apparirmi spesso un’auto sportiva capace di grandi prestazioni, alla quale però nessuno si è preoccupato mai di fornire un serbatoio capace e di tenerlo riempito di carburante.

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