Alla fine sembra che il Piano nazionale di ripresa e resilienza “next generation” Italia (quello che sinteticamente viene chiamato “Recovery plan”) non abbia ancora avuto il via libera da tutte le componenti della maggioranza. Sono, tuttavia, circolate alcune bozze in avanzato livello di elaborazione che servono, in ogni caso, a immaginare, plausibilmente, delle “tendenze”.



Il documento parte da alcune ovvie considerazioni generali di contesto. Il periodo che stiamo vivendo oggi sarà certamente ricordato come uno dei peggiori della storia recente per l’economia mondiale e per quella europea in particolare. Il rapido susseguirsi, infatti, di due crisi finanziarie e di un’emergenza sanitaria di proporzioni globali ancora in corso sta avendo, e avrà anche nei prossimi anni, pesanti conseguenze sull’occupazione, sul tessuto produttivo, sulla coesione economica e sociale di quasi tutti i Paesi.



In questo quadro globale il Governo italiano prevede che alla caduta del Pil del 2020 (-9%) seguirà un forte, e auspicabile, rimbalzo nel 2021 (+6%), con stime non molto distanti dalle più recenti della Commissione europea che immaginano una caduta del Pil per l’anno in corso pari al 9,9% in Italia e al 7,8% per la media dell’Area Euro.

In questa prospettiva, per accompagnare la modernizzazione del sistema economico del Paese e la transizione verso una nuova, e diversa, economia più sostenibile e digitale, l’Italia prevede un forte sostegno alla creazione di posti di lavoro, alla formazione e alla riqualificazione dei lavoratori, nonché un sostegno al reddito durante le varie transizioni occupazionali da cui, sempre più, saremo interessati. L’esecutivo, in particolare, si impegna a porre rimedio ai cronicamente scarsi investimenti nel potenziamento delle competenze.



Sono previsti così consistenti investimenti in attività di upskilling, reskilling e life-long learning per lavoratori e imprese al fine di agevolare la ripartenza della produttività e migliorare la competitività delle aziende italiane, in ritardo rispetto a quelle degli altri Paesi europei nostri competitor. Si auspica, infatti, che la formazione e il miglioramento delle competenze, in particolare quelle digitali, tecniche e scientifiche, migliorino la mobilità dei lavoratori e forniscano loro le capacità di raccogliere le future sfide del nuovo mercato del lavoro che verrà.

In questa prospettiva ci si propone di intervenire nella revisione della complessa, e probabilmente inefficace, governance del sistema della formazione professionale in Italia, scommettendo sul rafforzamento della rete territoriale dei servizi di istruzione, formazione, lavoro e inclusione sociale.

Un nuovo assetto, maggiormente collaborativo tra le varie istituzioni e amministrazioni coinvolte, sembra, difatti, necessario per far sì che le buone intenzioni del Governo si trasformino in buone azioni per il nostro Paese, in particolare per le persone più deboli e maggiormente colpite dall’ennesima crisi economica e sociale.

Compagini governative, e maggioranze politiche, di vario colore e profilo vi hanno, per onestà intellettuale, già provato in passato fallendo, inesorabilmente, tutte. L’auspicio è che, di fronte alle sfide cruciali che saremo chiamati a vivere già nei prossimi mesi, tutte le parti coinvolte siano in grado di fare un passo indietro, o di lato, per farne fare tre in avanti al sistema Italia.

In questa prospettiva c’è da auspicare, inoltre, che dalle bozze, eventualmente integrate e corrette, si passi, in tempi brevi, a una proposta organica e stabile da inviare alle istituzioni europee. In un momento cruciale come l’attuale il rischio è che l’ennesimo ritardo della politica lo paghino, anche duramente, le prossime generazioni.