Il Comitato interministeriale per gli affari europei ha approvato ieri le “Linee guida per la definizione del Piano nazionale di ripresa e resilienza”, che verranno trasmesse al Parlamento. Si tratta di un documento importante per la predisposizione del Recovery plan e, come riportato da diversi organi di stampa, uno degli obiettivi che il Governo si pone è quello di sfruttare le risorse che arriveranno dall’Europa per portare il tasso di crescita all’1,6% medio annuo, contro lo 0,8% dell’ultimo decennio. «Mi sembra che chi ha immaginato una cosa del genere dimostri non conoscere bene la materia economica», è il commento di Francesco Forte, ex ministro delle Finanze e per il Coordinamento delle politiche comunitarie.
Perché?
Perché anche ammesso e non concesso che facendo determinati investimenti si può aumentare il tasso di crescita del Pil, non bisogna dimenticare che esso dipende solo in parte da variabili endogene, ma in più larga misura da variabili esogene di due tipi.
Quali?
Le prime hanno a che fare con la politica monetaria europea, che noi naturalmente non possiamo dettare. Le seconde riguardano il tasso di crescita dei due grandi driver mondiali, Cina e Stati Uniti, oltre che degli altri Paesi membri dell’Ue, in particolare la Germania, visto che notoriamente l’Italia è complementare dal punto di vista di gran parte delle esportazioni e delle produzioni, sia per i beni di consumo che di investimento, all’ economia tedesca. C’è poi un’osservazione importante da fare.
Prego.
Il Next Generation EU ha due componenti principali, la prima riguarda il fondo di coesione, la seconda, più importante, concerne la creazione di una crescita sostenibile, con un accento importante sulla green economy. Per accedere alle risorse europee non dobbiamo quindi dimostrare di quanto vogliamo crescere, ma fare essenzialmente due cose. Per quanto riguarda il fondo di coesione, dimostrare in che modo lo utilizziamo per risolvere il problema non già dell’Italia nel suo complesso, ma della crescita della aree in ritardo e in transizione. Per esempio, con la trasformazione dell’ex Ilva di Taranto o con un piano completo di posa della fibra ottica per la banda larga. Diventa pertanto importante la digitalizzazione e lo sviluppo del capitale umano immateriale, con la ricerca scientifica e tecnologica.
E la seconda cosa essenziale da fare?
Capire che fondamentalmente con il Next Generation EU si chiede di avere non una crescita qualunque, ma una crescita sostenibile. Occorre quindi un indirizzo culturale, tecnologico, organizzativo che comporta, per esempio, preferire l’alta velocità ferroviaria al trasporto su gomma. Non è quindi importante dire di quanto cresceremo, ma come cresceremo. Perché tanto per fare un esempio, se crescessimo in un modo cinese, cioè non sostenibile, dovremmo addirittura pagare un dazio, perché le risorse che avremo dall’Ue arriveranno anche da tasse ecologiche.
Come si cresce allora per tornare ai livelli pre-Covid?
Difficile dirlo, stiamo comunque parlando di livelli quantitativi, non qualitativi. Va comunque evidenziato che prima del Covid non avevamo un livello ottimale di struttura economica. In particolare, restano due difetti strutturali tra loro connessi da correggere.
A cosa fa riferimento?
Alla produttività del lavoro molto bassa, specialmente nel confronto con gli altri Paesi europei, a causa della qualificazione del capitale umano e delle strutture del mercato del lavoro, e ai livelli insufficienti di investimenti, in particolare nelle opere pubbliche e nelle tecnologie. È così che abbiamo visto negli ultimi anni una crescita basata solo e debolmente sulla domanda di consumi. È quindi chiaro che l’importante non è tanto recuperare il livello di crescita precedente, ma cambiare il modello di crescita.
Come si può raggiungere questo risultato?
Per farlo possono volerci anche 6-7 anni e il Next Generation EU può aiutarci. L’importante è capire per ognuno dei programmi che verranno inseriti nel Recovery plan quale sarà l’effetto positivo sulla produttività del capitale e del lavoro. Bisogna quindi prima elencare i progetti e gli investimenti, quindi alla fine tirare le somme sulla crescita generata, e non viceversa come si sta facendo, magari prevedendo tre scenari sull’economia internazionale – ottimista, pessimista e intermedio – per tener conto delle variabili esogene.
In attesa delle risorse europee, il Governo con la Legge di bilancio sembra voler puntare tutto sulla riduzione delle tasse. Cosa ne pensa?
Non ho capito bene quale schema di riduzione fiscale si voglia seguire. Dal mio punto di vista, la cosa più urgente è ridurre la progressività dell’imposta personale sul reddito, aumentare i premi di produttività e prevedere defiscalizzazioni per il lavoro dei giovani. Bisognerebbe creare con vari step un’imposta piatta affiancata da un contributo sanitario e per l’istruzione, progressivo e di natura regionale, anche perché non dobbiamo dimenticare che c’è un’autonomia regionale che va realizzata. Occorre quindi dare alle regioni questo contributo che si saprebbe andare alla sanità della propria regione e non in un unico calderone nazionale. Non capisco se hanno in mente qualcosa di simile o invece una manovra elettorale. Anche perché non è da escludere che lo scenario politico cambi dopo le regionali.
(Lorenzo Torrisi)