Ho voluto raccontare nel mio recente libro (“Volevo solo una girandola”, Marsilio Editore, 2020) numerosi episodi o fasi dei 50 anni di vita pubblica dei quali sono stato testimone per dedurne alcuni criteri di azione politica. In particolare, ho ritenuto necessario riproporre la necessità di collegare la prassi quotidiana con la declinazione pubblica dei principi di riferimento e di una visione di medio termine coerente con essi.
Ciò mi è apparso doveroso nel momento in cui si sta affermando una sorta di “postpolitica” cinicamente libera da vincoli di coscienza e di passione civile. Abbiamo visto rappresentanti eletti che si autodefiniscono cattolici e che hanno guidato, e non subito, provvedimenti di sovversione dell’antropologia naturale. Così come altri di formazione marxista hanno trascurato manifestamente i bisogni popolari per assecondare élite dedite alla finanziarizzazione esasperata dell’economia.
Le ricorrenti condizioni emergenziali hanno offerto la possibilità di discutibili concentrazioni di potere a chi pure si dichiara sostenitore della cultura liberale. Il recente Recovery Plan è un documento che si presenta emblematicamente privo di una visione sul futuro dell’Italia. E, soprattutto, esso non è disegnato per moltiplicare l’efficacia dello straordinario impiego di risorse pubbliche perché non è per nulla sussidiario.
Il Piano ipotizza diffusamente l’ingerenza dello Stato in termini sostitutivi della libera iniziativa privata, ammettendo al più ipotesi di partenariato. Le stesse politiche del lavoro dimenticano come solo l’impresa possa essere la fonte di un’occupazione sostenibile e disegnano il soccorso ai disoccupati soprattutto dal lato della maggiore offerta di servizi pubblici storicamente autoreferenziali. Sussidiariamente, si dovrebbe invece sostenere la libera domanda dei disoccupati e degli inoccupati attraverso assegni trasferibili ai servizi (formativi in primo luogo), liberamente prescelti, nella misura in cui si rivelano effettivamente utili alla promozione di un rapporto di lavoro.
Le relazioni industriali collettive risulterebbero poi efficaci se fossero incoraggiate a spostarsi dall’omologazione centralizzata alla più adattiva dimensione aziendale e territoriale. A questo scopo sarebbe stato necessario disporre una robusta detassazione di tutti gli aumenti retributivi decisi in prossimità per premiare gli incrementi della produttività o della professionalità. Al contrario, il Governo continua a ipotizzare l’attrazione delle relazioni collettive di lavoro nella dimensione pubblicistica attraverso la disciplina della rappresentatività, con la conseguenza di un impianto centralizzato ed egualitario nel momento in cui, con la fine del fordismo, i lavoratori e i datori di lavoro riacquistano, ciascuno, la propria originalità.
Sembra insomma affermarsi un impasto di statalismo e assenza di prospettiva di cui farebbero le spese una società e un’economia sempre più rattrappite.
Con lo scopo di incoraggiare quanti, dopo un evento straordinario come la pandemia, vogliono cimentarsi con l’impegno civile e politico come i molti che lo fecero dopo la guerra, l’autore ha scritto il libro “Volevo solo una girandola. Racconti brevi di vita pubblica”, edito da Marsilio.