In queste settimane è di moda confrontare i “Recovery plan” dei diversi Paesi europei in un periodo in cui si cercano di programmare le azioni per rilanciare la crescita e uscire dalla crisi. Una parte importante dei piani è dedicata all’ecologia e alla transizione verde perché si intende sfruttare una fase di rottura per “ricostruire meglio”. In questi confronti ci si esercita, inevitabilmente, sui dettagli, ma il rischio è quello di perdere per strada le scelte di fondo che in un certo senso rimangono sotto o di lato le discussioni sul Recovery plan. Prendiamo ad esempio le scelte di Francia e Germania in tema “green”.
Da qualche settimana i principali organi di informazione finanziaria internazionale danno conto delle trattative politiche sull’inserimento dell’energia nucleare come fonte di energia verde da parte dell’Unione europea. La Francia guida un drappello di Paesi che fa lobby perché l’Unione europea inserisca il nucleare tra le fonti “verdi”; Polonia, Ungheria e Finlandia seguono. Il presidente Macron a fine dicembre dichiarava che “il nostro futuro energetico ed ecologico dipende dal nucleare; il nostro futuro industriale ed economico dipende dal nucleare; il futuro strategico della Francia dipende dal nucleare”. Il Presidente francese aggiungeva che “il nucleare ci rende autonomi” e “preserva il potere d’acquisto francese con un costo energetico del 40% più basso dei nostri vicini europei”. Il nucleare “deve rimanere un pilastro” del mix energetico “per i prossimi decenni”.
È praticamente certo che la Francia non solo continuerà ad appoggiarsi pesantemente sul nucleare, con cui oggi produce più di due terzi dell’energia, ma che riesca a far includere la fonte energetica tra quelle considerate green dalla Commissione europea. Anche la Polonia ha spiegato chiaramente che ha intenzione di avere un futuro nucleare. È un aspetto interessante che, tra l’altro, solleva qualche dubbio su quanto siano politiche queste scelte. È noto che alcuni problemi economici e anche ambientali delle rinnovabili siano ampiamente sottovalutati: dai costi che impongono sulla rete per via dei picchi, all’impossibilità di riciclare intere componenti (si pensi alle pale eoliche o alle batterie) fino ai costi veri al netto dei contributi.
Passiamo alla Germania. Nelle settimane in cui l’ondata di gelo colpiva “spegnendo” eolico e solare, la Germania teneva in piedi il sistema bruciando gas e tantissimo carbone. In queste settimane continua imperterrito l’impegno tedesco per completare il Nord Stream 2 e per assicurarsi forniture di lunghissimo periodo e a basso costo di gas russo. La Germania dovrebbe chiudere le sue centrali nucleari, ma intanto completa il nuovo gasdotto.
Mentre ci si lancia in questo futuro “verde” sostituendo fonti affidabili ci si dimentica che tutte le economie sviluppate, incluse quelle europee, si basano su una premessa fondamentale: l’accesso a energia affidabile, economica e programmabile. Se questa premessa viene meno il sistema salta completamente con gli effetti che si sono visti in Texas a febbraio quando uno degli Stati più ricchi del globo è precipitato in un’economia medioevale.
Il minimo che si possa dire è che sia la Francia che la Germania si tengono strettissima l’opzione di riserva nel caso in cui la rivoluzione verde si rivelasse troppo costosa o ingestibile anche solo rispetto ai competitor economici e geopolitici: Cina e Stati Uniti. La rivoluzione verde? Sì ma il nucleare francese non si tocca e il Nord Stream 2 nemmeno mentre si discute di parchi eolici e pannelli solari. Speriamo che anche l’Italia non perda la lucidità in una fase delicatissima in cui il rischio di caricare un sistema fragile di costi insostenibili è dietro l’angolo.
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