“Durante il nostro ultimo incontro in Portogallo (il recente Ecofin informale) ci sono state molte dichiarazioni che suggerivano che il Meccanismo europeo di stabilità dovrebbe muoversi in una direzione che avrebbe quasi abolito qualsiasi criterio sul debito: l’Austria non è d’accordo con questo, e nemmeno molti altri Paesi. Per questo organizzeremo un incontro con un gruppo di Paesi che la pensano allo stesso modo per creare un’alleanza di ‘responsabilità europea’ in termini di bilancio e controbilanciare queste false tendenze”. Suona così una dichiarazione alla stampa del ministro delle Finanze dell’Austria Gernot Blumel. È un’affermazione che segue quella che ha avuto larga eco dell’ex ministro tedesco Schäuble che chiudeva con una sorta di non velato ordine a Mario Draghi di rigare diritto e di non ripetere gli errori compiuti da presidente della Bce.
È evidente che si muovono le pedine della guerra di posizione degli apparati di rappresentanza dei diversi capitalismi europei. Dopo il breve momento della centralizzazione imposta dalla pandemia, stanno riposizionandosi per disegnare il sistema di pesi e di rilevanze dei gruppi di comando delle rispettive economie nazionali: si muoveranno quando l’intermittente vittoria vaccinale sulla pandemia consentirà a tutta la macchina della riproduzione sociale di rimettersi in moto.
Perché questa è la specificità di ciò che avvenuto negli ultimi due anni circa di invasione del morbo: la crisi da circolazione delle merci e delle persone – che ha reintrodotto nell’universo simbolico mondiale la paura della morte e della contaminazione – ha sì bloccato la circolazione delle merci, ma non della moneta simbolica né del suo mercato algoritmico con costi di transazione tendenti allo zero – così come il tempo e la sua durata e il suo costo (le borse non hanno mai smesso di funzionare e si sono mosse con logiche particolarissime che devono ancora essere studiate non solo con gli algoritmi, ma anche con il cervello che gli algoritmi crea).
Questa battaglia di riposizionamento disvela che la globalizzazione non ha portato, di per sé – come è invece nel sentire comune – all’avvento della centralizzazione capitalistica universale, sovranazionale. I trattati esistono proprio perché un’economia sovranazionale ancora non esiste. Gli Stati non sono ancora imprese multinazionali: sono creati in parte da esse ed essi condizionano in quanto frutto della rappresentanza territoriale e funzionale. Le entità giuridiche di hegeliana memoria continuano a esistere e personalità giuridiche, del resto, sono le stesse corporations nei sistemi a common law, sottoposte invece alla responsabilità degli amministratori in quelle a civil law dando vita a ciò che ancora chiamiamo Stati, ma che devono al più presto trovare una nuova comprensione teorica per comprendere ciò che sta succedendo in primis in Europa e poi nel resto del mondo.
È questa la questione che il Pnrr ha drammaticamente aperto nel mentre il capitalismo nordamericano cambiava braccio al suo fucile e così si appresta a continuare con altri mezzi (il multilateralismo) la battaglia per la conquista del mondo: ecco la nuova Guerra fredda anti-cinese che s’avanza!
Quindi eccoci al gioco che si è aperto: la partita per ricostruire e ridefinire chi fa parte del capitalismo estrattivo in Europa e chi ad esso è invece sottoposto è iniziata. La novità è la crisi del capitalismo tedesco colpito dal fallimento tecnico della parte centrale del suo capitalismo finanziario, che è stato dilavato dai manager stockoptionisti ad alto rischio e ha gonfiato il loro portafoglio e distrutto il risparmio privato più di quanto non facciano i tassi sotto zero della deflazione secolare di matrice teutonica.
Una nuova alleanza entra in campo: tra quel che rimane del capitalismo italiano ormai in gran parte rinazionalizzato (senza Iri però), con le devastanti conseguenze che ci attendono, e ciò che ancora pulsa ma a fatica di quello francese, acciaccato ma in buona salute grazie alla prossima cacciata di Macron, già concordata dalle sue cuspidi. Questi due capitalismi, così diseguali in potenza e in lungimiranza, sono costretti ad allearsi. E questo per non precipitare nella crisi del capitalismo tedesco e non solo delle loro nazioni, che da sole non reggono all’urto della riconversione strutturale senza la quale non ci sarà ripresa. Il capitalismo renano (franco-tedesco sì, ma in primis tedesco-Benelux) che dovrà proteggersi dall’incombente crisi cinese e dalla riaffermazione del comando nordamericano che con Biden può ora non fare sconti a nessuno.
Le grandi manovre sono in corso e disegneranno il futuro del mondo e non solo dell’Europa. È per questo che il tour da Cirque du Soleil di Ursula von der Leyen è sconcertante: discende da cavallo per le corti d’Europa e consegna un assegno gigantesco (tipo quello del Sor Pampurio arcicontento) ai premier che sono stravolti, tra l’ammirato e lo sconcertato. Il premier portoghese esclama: “Vado subito in banca”, come nelle vignette de Il Corriere dei Piccoli del “ventennio”. Sono morte centinaia di migliaia di persone; gli ammalati sono stati decine e decine di centinaia di migliaia. Il pericolo delle pandemie cicliche non è stato neppure affrontato come oggetto di intervento comune. Ma è lo spettacolo che deve invece continuare, come se fosse lo spettacolo la carta vincente di una Unione Europea che si allontana sempre di più dall’Europa e dai “problemi della povera gente”, ossia di tutti noi.
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