Chi pensava che la crisi organica italiana di gramsciana memoria fosse terminata con la nomina di Mario Draghi alla carica di primo ministro della Repubblica italiana è sempre più deluso. In un panorama europeo di cambiamento profondo e di recente disgregazione delle forze politiche dominanti, l’anomalia italica splende in tutta la sua minacciosa peculiarità.



La crisi investe qualsivoglia aggregato o formula politica presente in Parlamento. Oggi la definizione di partito non rappresenta più le aggregazioni peristaltiche degli eletti. Esse si stanno continuamente decomponendo e ricomponendo come molecole instabili.

Sono mescolate da una bacchetta del “piccolo chimico” lunga, manovrata da mani incerte e scosse da continui fremiti, perché la fibrillazione colpisce sia le grandi che le medie e perfino le piccole potenze mondiali che hanno in Italia i loro terminali continentali, mediterranei e danubiano-balcanici, come sempre.



I fremiti sono quelli della deflazione secolare, della caduta del tasso dei profitti, della disoccupazione strutturale, del trasferimento globale dei redditi dal lavoro al capitale che continua incessante mentre si definisce un nuovo disordine internazionale che si riflette sulla vita dell’italico governo giorno per giorno, incessantemente e da tempo in forme sempre meno oscure.

Tutto è in movimento, ma nell’incertezza dell’indeterminazione, come è tipico, storicamente, delle crisi organiche. In Germania, i Verdi, che sono in ascesa costante, annunciano che metteranno in discussione il Patto di Stabilità dell’Ue, ma non dicono come e con quali linee teoriche; in Francia si assiste alla caduta libera del macronismo, che non potrà resistere alla rivolta sotterranea dei generali. Essa non preannuncia nessun golpe di sorta, quanto una ricomposizione neogollista delle forze di centro e di destra storiche della Francia che non sono mai sopite e mai possono assopirsi, perché la Francia è il cuore politico europeo proteso verso il mondo attraverso l’Africa. Queste forze storiche travolgeranno Macron dopo averlo creato, senza pietà, come sempre accade nella douce France.



La Spagna, l’altra decaduta potenza che guarda oltre Atlantico le Americhe, non ha più un centro che riequilibri peristalticamente ciò che rimane di quelle sue nazioni, che dopo il franchismo si erano riaggregate attorno all’Unione Europea, che aveva assicurato reddito e dispersione delle tensioni, e alle radici tedesche, che avevano ricostruito, con gli Usa, le colonne della politica dei partiti.

Ora in tutta Europa, per effetto della direzione dall’alto sia delle politiche pubbliche (dall’acqua nel vino ai diritti della persona sino alla rappresentazione privata della sessualità), sia di quelle economiche, si anela alla liberazione psichica – prima che sanitaria – dalla pandemia grazie alla vaccinazione. Quest’ultima accompagna la crescita dell’accettazione del rischio e pervade tutti i poli del mondo, stremati dalla pandemia che li ha ricacciati nel mondo precapitalistico della caverna domestica grazie alle tecnologie dello smart working, tanto avanzate tecnicamente quanto regressive psicanaliticamente.

In Italia la crisi dei partiti provoca pulsioni di difesa da parte di leader imposti dall’esterno, ossia dall’estero – come per esempio Letta – che avanzano proposte demagogiche come la patrimonialina (del ministro della Salute Speranza) o la tassa di successione di marca Letta-Giovannini-Scalfarotto, che provoca già per il solo suo enunciarsi come intenzione la fuga dei capitali sul modello francese (al tempo Hollande-Piketty). Di contro, mentre Salvini invoca le elezioni vagheggiando Draghi alla presidenza della Repubblica, quest’ultimo rivela una sindrome da fibrillazione pericolosa di uomo solo al comando che non può che aggravare la crisi organica e aprire la strada a un neo-presenzialismo presidenziale di fatto.

Esso ha la sua molecola virale nello spropositato e dilagante potere del presidente della Repubblica che si verifica in ogni crisi organica delle democrazie di massa. È strutturalmente destinato a divenire l’ago della bilancia del potere invisibile che prolifera ogni qualvolta non si voti quando è necessario, ossia quando gli eletti, per esempio, si autoeliminano numericamente in un prossimo futuro – con riforme come quelle italiche – e ciononostante – senza che il massimo custode della Costituzione faccia sentire la sua voce – continuino a sedere in Parlamento.

È in questo contesto che le fughe dei capitali sono iniziate e non si fermeranno. Così assisteremo al dilacerante incrociarsi dei flussi in entrata monetari del Pnrr e di quelli in uscita del capitale finanziario italico. Un capitalismo senza capitali, un capitalismo senza politica e senza classi politiche. Sì, senza classi politiche. Dobbiamo trovare una nuova definizione per queste molecole circolanti: non corrispondono più a quei fenomeni umorali e costitutivi delle società di massa definiti da Pareto e da Mosca. Oggi sono altra cosa: neppure i mass media e i social ne definiscono la placenta formativa, non bastano a definirli. È la morale pubblica, infatti, che non esiste più e, non esistendo, li definisce. Sia coloro che si pensano soli al comando, sia coloro che al comando accedono accompagnati per mano o per la collottola.

Mentre ogni giorno cambiano i colori delle regioni pandemiche e mentre il cuore degli italiani si spezza, ciò che delle antiche classi politiche rimane, cessa di circolare beneficamente: è in stagnazione da deflazione. 

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