Combattere lo spreco di cibo invenduto dalla grande distribuzione e consegnarlo gratuitamente a chi ne ha bisogno è una pratica che da anni in Italia si pratica. La prima organizzazione a portare alla luce questo paradosso è statail Banco Alimentare a partire dalla fine degli anni ’80, quando la parola spreco ancora non era di moda, anzi la logica dell'”usa e getta” era dominante.



Negli anni l’interesse è cresciuto, così coinvolgendo il mondo accademico e anche quello della politica, che nel 1997 all’interno del decreto fiscale sulle Onlus riconosceva parità fiscale di trattamento tra chi cedeva gratuitamente cibo commestibile, ma non vendibile, e chi buttava in discarica. Questo sanava il fatto che prima dell’entrata in vigore del provvedimento chi donava pagava le tasse, mentre chi invece gettava in discarica cibo ancora buono, no.



Nella legge di Bilancio del 1999 venne introdotta la non applicazione dell’Iva sulle cessioni di alimenti, poi nel 2003 la legge del Buon Samaritano (155/03) è arrivata a chiarire gli aspetti relativi alla responsabilità giuridica tra donatore e ricevente. Infine, la 166/16, o Legge Gadda, è arrivata a sistematizzare il patrimonio legislativo italiano di quasi vent’anni, aggiornandolo e semplificandolo in un’unica norma. In tutto questo tempo le quantità di tonnellate di “eccedenze” recuperate dalle organizzazioni non profit hanno superato il milione di tonnellate. Purtroppo, gli oneri sono sempre più gravosi per queste organizzazioni e dall’altra parte le organizzazioni che utilizzano questi beni hanno sempre maggior richiesta perché dal 2010 il numero di persone in difficoltà economica aumenta nel nostro Paese. Sono 5,6 milioni, secondo l’ultimo dato Istat, le persone in povertà assoluta in Italia, 1,9 milioni di famiglie.



Il Fondo per la sperimentazione del Reddito alimentare, costituito nel perimetro della Legge di Bilancio su proposta del deputato Pd Marco Furfaro, si inserisce in questo contesto. A oggi quello che sappiamo è che il Fondo potrà contare su una dotazione di 1,5 milioni di euro per il 2023 e di 2 milioni di euro annui a decorrere dal 2024, è destinato – precisa una nota ufficiale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali – “a finanziare, nelle città metropolitane, la sperimentazione del Reddito alimentare, quale misura per contrastare lo spreco e la povertà alimentare, mediante l’erogazione, a soggetti in condizioni di povertà assoluta, di pacchi alimentari realizzati con l’invenduto della distribuzione alimentare, da prenotare mediante una applicazione e ritirare presso un centro di distribuzione ovvero ricevere presso il proprio domicilio nel caso di soggetti appartenenti a categorie fragili”.

In buona sostanza, la sperimentazione riguarderà le aree metropolitane e si baserà su un’app costruita sul modello di altri sistemi già collaudati, come l’applicazione BringTheFood, che nel 2022 ha permesso di recuperare e distribuire 3.537.208 pasti ai bisognosi. Non sono invece ancora chiare le modalità attuative del trattamento, la platea dei beneficiari, nonché le forme di coinvolgimento degli enti del Terzo settore, destinate a essere definite in un decreto che il Ministro del lavoro e delle politiche sociali si impegna a rilasciare “entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della Legge di bilancio”.

Il nuovo Fondo ha una grande ambizione: mettere uno stop agli sprechi recuperando le eccedenze di cibo dalle catene filiera alimentare dando un aiuto concreto a chi è in difficoltà. Servirà vedere come si attuerà realmente questa misura, se in maniera sussidiaria, sostenendo realtà che negli anni hanno dimostrato nei fatti una reale capacità di intervento a contrasto di spreco alimentare e povertà, oppure no.

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