L’ex presidente del Consiglio Conte ha costruito l’intera campagna elettorale sulla difesa a oltranza del Reddito di cittadinanza e afferma senza mezzi termini che in Italia è in corso una campagna d’odio contro i poveri. Il fondatore del M5S Beppe Grillo invoca la costituzione delle Brigate di Cittadinanza per contrastare con ogni mezzo qualsiasi tentativo di riformare questo provvedimento. Il Presidente dell’Inps Pasquale Tridico, redattore del dispositivo normativo del Rdc, fa da sponda ai suoi mentori sfornando statistiche taroccate per dimostrare che bisogna aumentare le risorse per far fronte all’incremento della povertà.
Inutile negarlo, la propaganda ha fatto breccia, tanto da annichilire tutti coloro che si permettono di dimostrare con l’ausilio dei numeri che il rapporto tra le risorse utilizzate e i risultati ottenuti sul fronte del contrasto della povertà è paragonabile a una foresta che viene incendiata per fare un uovo al tegamino.
Infatti, per lo scopo sono stati spesi circa 30 miliardi a partire dall’aprile 2019 e nel frattempo è aumentato di 700mila unità il numero delle persone povere. La tendenza viene attribuita alle conseguenze della pandemia Covid, in particolare alla riduzione del numero degli occupati a termine, senza considerare la contemporanea erogazione di circa 80 miliardi di euro da parte dello Stato per sostenere i redditi delle famiglie e l’introduzione del Reddito di emergenza per allargare la platea dei beneficiari e i requisiti di reddito e patrimoniali per accedere alle prestazioni.
Il fallimento del Rdc per la parte relativa all’inserimento lavorativo è assodato. Giustificato dal fatto che la gran parte dei beneficiari in età di lavoro risulta per vari motivi difficilmente occupabile. Un risultato largamente prevedibile, ma risulta singolare che questa motivazione venga utilizzata da coloro, in particolare gli ex ministri del Lavoro Di Maio e Catalfo e l’immancabile Prof. Tridico, che tre anni fa fornivano stime per dimostrare che il Rdc avrebbe favorito l’inserimento lavorativo per un milione di percettori. Un risultato da ottenere grazie agli incentivi introdotti a favore delle imprese alla condizione di assumere queste persone a tempo indeterminato, fatta salva la possibilità dei beneficiari del Rdc di poter rifiutare due proposte di lavoro senza pagare dazio.
Ma il fallimento del Rdc viene confermato dai numeri soprattutto sul versante del contrasto della povertà. Facilmente riscontrabile se si effettua una comparazione tra le indagini svolte dell’Istat sull’andamento della povertà in Italia, utilizzate a suo tempo per motivare l’introduzione del provvedimento e successivamente per aumentare le risorse finanziarie dedicate allo scopo, con gli esiti delle erogazioni dei sussidi documentati dall’Osservatorio dell’Inps nella qualità di ente erogatore. Un esercizio che vi riproponiamo con l’ausilio dell’ultima indagine dell’Istat sulla povertà pubblicata nel mese di luglio u.s., e relativa all’anno 2021, con il monitoraggio degli esiti delle domande accolte dall’Inps nel medesimo anno per il Rdc e le Pensioni di cittadinanza (Pdc).
Nell’indagine Istat le persone povere residenti in Italia vengono stimate in poco 5,7 milioni appartenenti a 1,960 milioni di famiglie in condizioni di povertà assoluta. Numeri pressoché simili a quelli evidenziati nell’indagine relativa al 2020 e superiori di circa 700mila unità rispetto alle persone povere stimate nel 2018, l’anno che precede l’introduzione del Rdc.
Le famiglie povere (il 7,7% del totale di quelle residenti in Italia) risultano distribuite per: il 42,6% (835mila nuclei e 2,255 milioni di persone) nelle regioni del Nord; il 16,2% (299mila nuclei e 861mila persone) nel Centro Italia; il 42,2% (826mila nuclei e 2,445 milioni di persone) nel Mezzogiorno. I nuclei familiari che hanno beneficiato del Rdc/Pdc nel corso del 2021 risultano essere 1,771 milioni con il coinvolgimento di 3,950 milioni di persone. Le famiglie e le persone che risiedono nel Mezzogiorno (rispettivamente 1,060 milioni e 2,515 milioni, pari al 63% di tutti i beneficiari) aumentano in modo esponenziale, sia nelle percentuali di attribuzione territoriale che per i valori numerici assoluti, rispetto a quelli delle persone povere stimate dall’Istat per le regioni del Sud e delle Isole. Nelle regioni del Nord Italia i nuclei beneficiari del Rdc, 22% del totale, risultano dimezzati rispetto alle stime Istat. Quello delle persone povere addirittura ridimensionato del 62% rispetto a quello numero dei potenziali beneficiari (854mila rispetto ai 2,250 milioni Istat). Queste tendenze risultano confermate anche nell’andamento dei beneficiari monitorati dall’Inps nel corso del 2022.
Secondo l’Istat, nelle condizioni di povertà assoluta risultano essere in particolare le famiglie numerose e con figli a carico (762mila famiglie e 1,382 milioni di minori) con tassi di incidenza (14,2%) pari al doppio di quello medio generale. Ma le famiglie con minori che beneficiano del Rdc sono in realtà solo 367mila e in parallelo risulta dimezzato anche il numero dei minori che usufruiscono dei sussidi. Secondo i dati dell’Osservatorio Inps, oltre la metà dei nuclei beneficiari, 553mila, è composto da una sola persona. Una componente largamente superiore rispetto alle stime effettuate dall’Istat.
Una parziale spiegazione di queste anomalie viene offerta dall’esclusione dei nuclei composti da soli stranieri che non hanno maturato il requisito dei 10 anni di residenza in Italia. I redditi degli stranieri regolarmente residenti in Italia sono precipitati nel corso degli ultimi 10 anni. L’ultima indagine Istat evidenzia la condizione di povertà assoluta per il 32% delle famiglie composte da soli stranieri (5 volte superiore a quello delle famiglie italiane) che rappresentano il 31,7%, equivalente a 614mila nuclei, del totale delle famiglie povere residenti in Italia. Tra queste solo 136mila, una su quattro, sono destinatarie degli assegni del Rdc.
Il mancato coinvolgimento degli stranieri incide in modo significativo sulla riduzione del numero dei percettori nelle regioni del Nord e dei minori a carico.
L’unico risultato apprezzabile è stata la riduzione dal 21% al 18% dell’intensità della povertà (la distanza dei redditi reali delle persone povere rispetto alla soglia utilizzata per stimare il numero dei poveri). Un risultato assai misero, se consideriamo che in aggiunta ai 30 miliardi di euro impegnati per il Rdc sono stati dedicate decine di miliardi di euro per sostenere i redditi delle famiglie nel corso della pandemia e che nel corso della seconda parte degli anni 2000 la spesa complessiva per le prestazioni assistenziali è aumentata di oltre 300 miliardi di euro rispetto al decennio precedente.
Queste discordanze, unitamente ad altre che non abbiamo approfondito per motivi di spazio (ad esempio. la mancata valutazione dei differenziali del potere d’acquisto nelle aree territoriali e l’assurdità di contrastare la povertà derivante dalle dipendenze da droga, alcol, gioco, con l’erogazione di sussidi) non sono il risultato di disattenzioni o di scarsa competenza, ma le conseguenze delle scelte politiche assunte consapevolmente dal primo Governo Conte e tollerate per varie ragioni dai due Governi subentrati successivamente.
L’impianto del Rdc è stato costruito, nelle modalità di selezione e di calcolo degli importi, per privilegiare l’accesso ai sussidi da parte delle singole persone a discapito delle famiglie numerose e con minori a carico. Il tutto per soddisfare la promessa elettorale di erogare un assegno di 780 euro senza particolari condizioni alle persone che non lavorano. La scelta di trasformare il Rdc in uno strumento finalizzato a contrastare la povertà, con l’ausilio di ridicole politiche attive del lavoro, è stata il frutto di improvvisazioni legate alla carenza di risorse finanziarie disponibili.
L’avvio del progetto e la gestione delle domande sulla base di auto dichiarazioni Isee rilasciate dai richiedenti, in assenza di un sistema di controlli preventivi degno di questo nome, è stata fatta in fretta e furia per capitalizzare il risultato per i fini elettorali (la scadenza delle elezioni per il Parlamento europeo).
Ma il fattore più distorsivo è rappresentato dai 180 miliardi di evasione fiscale derivanti dalle prestazioni sommerse e dalle sottodichiarazioni dei redditi che consentono a centinaia di migliaia di persone di beneficiare degli assegni senza averne diritto. Un sistema ampiamente tollerato e che fornisce occasioni di ristoro alle organizzazioni criminali. Anomalie comprovate nelle indagini campione della Guardia di Finanza sulla congruità delle dichiarazioni Isee e dalle azioni ispettive attivate nel territorio anche per altre finalità.
Questi tre fattori sono stati scientemente ignorati dalle due Commissioni di esperti incaricate di valutare gli esiti del Rdc e la dimensione del lavoro povero, promosse da due ministri del Lavoro sostenitori del Rdc per motivare l’esigenza di ampliare le risorse a disposizione. Il contrasto della povertà, le indagini dell’Istat e persino l’impoverimento delle famiglie immigrate sono stati utilizzate come pretesti per dirottare le risorse pubbliche verso altre finalità.
La recente tornata elettorale ha dimostrato come queste politiche abbiano generato i loro frutti avvelenati: l’organizzazione degli interessi clientelari per lo scopo di consolidare il consenso elettorale con l’ausilio di mass media e intellettuali prezzolati per lo scopo e disponibili a offrire un robusto supporto ideologico alla deriva dello Stato assistenziale.
Formalmente le elezioni sono state vinte da forze che manifestano la volontà di riformare l’istituto, anche se le buone intenzioni non risultano allo stato attuale confortate da proposte credibili.
La riforma possibile del Reddito di cittadinanza e delle politiche del Welfare per renderle coerenti all’obiettivo di contrastare la povertà saranno oggetto di un prossimo articolo.
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