La notizia è questa: nel marzo di quest’anno sono stati erogati a Napoli e provincia 459mila assegni per reddito o pensione di cittadinanza mentre in tutto il Nord i beneficiari sono stati 452mila per una spesa che nel primo caso ammonta a 102,2 e nel secondo a 109,7 milioni di euro.
Allargando lo sguardo si scopre che nel capoluogo campano il fenomeno risulta essere doppio rispetto a Roma e quattro volte superiore a Milano. I dati sono dell’Istat.
Interessante il dibattito che si è aperto in città sui social e all’interno delle chat tra privati cittadini. La fotografia dell’Istituto di statistica rilancia l’immagine di una città messa male sotto il profilo del lavoro: che non è mai stato abbondante ma nemmeno così depresso. Una serie di errori di prospettiva e strategia politica, commenta qualcuno, hanno consegnato la piazza ai 5Stelle che sul disagio sociale hanno costruito la loro fortuna in termini di consensi.
D’accordo, rilancia qualcun altro, ma di chi è la colpa: di chi non crea occasioni per una buona occupazione o dei troppi cittadini che si accontentano di vivere di assistenza? La domanda non è peregrina, perché nel numero dei percettori si sospetta siano in molti a non averne diritto e le cronache s’incaricano di confermarlo con una certa regolarità. La tendenza al parassitismo è considerata uno scandalo.
È vero, si concede, ma non si può ignorare che accanto a tanti che approfittano dell’occasione per arrotondare o rubare c’è una moltitudine di persone che realmente soffre e che, senza quel minimo aiuto, non saprebbe come tirare avanti. Un toccasana soprattutto in questi tempi di Covid quando anche le attività in nero, non osservate, stanno avendo una brusca battuta d’arresto.
Sì, ma intascare senza far niente neanche sta bene. Che almeno ci si dia da fare, che ci si renda utili alla comunità dando una mano a pulire strade, parchi, giardini… Sembrerebbe un’ottima idea. Ma per quelli con qualche anno in più torna l’incubo dei lavoratori socialmente utili: pagati negli anni Ottanta per sbrigare qualche faccenda e poi trasformatisi in movimento di lotta per ottenere la pubblica assunzione, il mitico posto, scavalcando criteri e graduatorie.
Quello che oggi non ha proprio funzionato, si puntualizza, è il sistema dei navigator che invece di essere la soluzione si è trasformato nel problema. Le cosiddette politiche attive, quelle che avrebbero dovuto creare occupazione, sono restate un miraggio e il fallimento della misura ha prestato il fianco a tali e tante polemiche da condizionare il giudizio sull’intera iniziativa che pure rispondeva, e risponde, a bisogni reali della popolazione.
Insomma, il sentimento è il seguente: è bene sostenere chi è in vera difficoltà (soprattutto in previsione del ciclone che sta per abbattersi su molti lavoratori non appena ci sarà lo sblocco dei licenziamenti); è necessario alzare il livello dei controlli per evitare un uso distorto delle risorse (che vanno spesso ad alimentare chi si dedica al crimine); è male affidare la ricerca di soluzioni a figure improvvisate e precarie (che, infatti, non hanno concluso nulla di buono).
Su tutte, alla fine, si staglia una domanda: come dovranno comportarsi candidati, forze politiche e formazioni civiche in previsione delle prossime elezioni municipali? Più in dettaglio, dovranno denunciare le storture del meccanismo alla base del successo pentastellato o glissare? Condannare gli abusi e promettere rigore nell’attribuire il mezzo di conforto o rimandare polemica e azione dopo il verdetto delle urne? Rinunciare al consenso di una larga fetta dei votanti o tentare d’incassarlo turandosi il naso?
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